Tonalità brunite di un marrone intenso fino al chiaro color paglierino, per una forma inconfondibile e una consistenza variabile. Di cosa si tratta? In una parola “frisella”.
Capolavoro della tradizione gastronomica pugliese, la frisella assomiglia ad una ciambella croccante. Pare che le sue origini risalgano a circa il X sec. a.C., all’epoca della civiltà Fenicia, quando i mercanti durante le loro navigazioni erano soliti consumare ciambelle scure di grano ammorbidite con acqua di mare e insaporite con olio d’oliva La frisella è sopravvissuta nel corso dei secoli non solo grazie alla sua bontà, ma anche per ragioni economiche. In passato una pagnotta si conservava per oltre una settimana, e gli eventuali avanzi non venivano gettati, ma fatti abbrustolire nei forni o sulla brace del camino. Al momento di essere consumati, questi tozzetti di pane erano inumiditi con una spruzzata d’acqua, e conditi con olio e verdure, oppure spolverati di zucchero.
Oggi le friselle si sono “arricchite” e ,oltre a quelle tradizionali, si possono trovare friselle di grano duro, d’orzo, di farina integrale.
La loro creazione è storicamente invariata: modellare cilindri di pasta che vengono chiusi a ciambella; dopo una parziale cottura a legna i pani, ancora tiepidi, sono sezionati con uno spago in dischi ruvidi dalla superficie irregolare; infine le friselle vengono nuovamente infornate, a temperatura inferiore rispetto alla precedente, per la fase della biscottatura.
La preparazione per il pasto anch’essa è un rito incontaminato: bagnate appena per mantenerle croccanti fuori e farle rammollire nel cuore, e poi condite con ingredienti base tipici pugliesi che donano ad esse colorazioni variabili, seducenti per il palato e affascinanti per i commensali.
Mariangela Martellotta