Da Manzoni a Marengo passando per Bonaparte.

Breve excursus gastronomico letterario sulle tracce di Napoleone Buongustaio.

Era il 5 Maggio 1821 quando Napoleone morì. Morì esiliato. Morì costretto sull’Isola di Sant’Elena. La notizia raggiunse l’ Europa solo dopo qualche mese. Manzoni stesso lo apprese, come tutti intorno a lui,  il 16 Luglio 1821 dalla «Gazzetta di Milano». L’evento lo colpì così profondamente che scrisse di getto, in tre giorni, una delle sue più celebri poesie dedicate al Sovrano francese, mettendo in risalto le sue gesta e le sue battaglie, la fragilità umana e la misericordia divina, in versi partecipati e commossi dedicati al glorioso Napoleone.

E gloriosa fu di certo la sua esistenza. Nato povero o quasi, era a 18 anni sottotenente, a 24 comandante, a 26 salvatore della Patria, a 30 console, a 35 imperatore, ma fu mai un Buongustaio??

Non solo non fu un buongustaio, fu anche un commensale distratto e sbrigativo. Dedicava al cibo non più di quindici o venti minuti. Saltava i pasti, arrivava a tavola talmente in ritardo da obbligare i suoi convitati a nutrirsi ad un ritmo vertiginoso.

Mangiava rapidamente, spesso si aiutava con le mani, non disdegnando di certo di fare la “scarpetta”; prediligeva pietanze semplici ed essenziali come zuppe di patate, di fagioli e di cipolle, e il pollo alla Marengo.

Premesso che Marengo è il nome della località a sud di Torino dove Napoleone sconfisse il 14 Giugno 1800 gli Austriaci, ve detto che in quell’occasione, non solo venne vinta una battaglia, ma venne inventata una ricetta. Il suo autore fu Dunand, lo chef personale di Napoleone.

Questa è la sua storia.

14 Giugno 1800. Marengo. Sono circa le cinque del pomeriggio. Nei campi di grano qualcosa rosseggia, non sono i papaveri, sono i pantaloni rossi dei soldati Francesi sterminati dagli Austriaci. Sul campo di battaglia di Marengo Napoleone si è mosso continuamente per seguire lo svolgimento della battaglia. Non tocca cibo dal mattino e adesso ha veramente un grande appetito.

Dunand manda i suoi aiutanti di cucina in perlustrazione. Trovare nelle cascine qualcosa di commestibile è fondamentale. E’ probabile che i saggi villici, appena consci di ciò che da lì a poco si sarebbe scatenato su quelle terre, si fossero allontanati in massa con tutti i loro buoni beni.

Così i mozzi di cucina del Dunand tornano con una ben misera razzia: un piccolo pollo, qualche gambero di fiume, uova, olio, aglio e pomodori.

Dunand non ci pensò molto. Usando la sua razione di pane preparò dei crostoni friggendoli in una padella dove poi aggiunse il pollo tagliato con la sua sciabola a pezzetti. Fece poi saltare il pollo nell’olio insaporito dall’aglio, aggiunse i pomodori; a cottura ultimata mise nel piatto il pollo, guarnendolo con uova fritte e con i gamberi cotti al vapore. A questi valorosi soldati l’alcol non mancava mai, e così impartì la benedizione finale cospargendolo con un po’ del Cognac di Napoleone.

L’Imperatore si innamorò di quel piatto, battezzato “Pollo alla Marengo” e lo volle cucinato più e più volte, senza mai cambiare nulla alla ricetta.

Voci di corridoio dicono che Dunand tornato nelle sue cucine provò a sostituire il cognac con del vino bianco, eliminò i gamberi di fiume sostituendoli con dei funghi. Napoleone si arrabbiò moltissimo e non ammise variazioni di sorta anzi, superstizioso com’era, ordinò a Dunand di cucinargli sempre questo piatto dopo ogni battaglia!

Verità o leggenda che sia, quello che è certo è che il piatto è diventato parte della tradizione gastronomica piemontese. Fu annoverato anche dal buon Pellegrino Artusi che ne riporta la ricetta, la n° 268, nel suo famoso ricettario “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.

«La sera della battaglia di Marengo, nel sottosopra di quella giornata non trovandosi i carri della cucina, il cuoco al primo Console e ai Generali improvvisò, con galline rubate, un piatto che manipolato all’incirca come quello che qui vi descrivo, fu chiamato Pollo alla Marengo; e si dice che esso fu poi sempre nelle grazie di Napoleone, se non pel merito suo, ma perché gli rammentava quella gloriosa vittoria. Prendete un pollo giovane ed escludendone il collo e le zampe, tagliatelo a pezzi grossi nelle giunture. Mettetelo alla sauté con grammi 30 di burro, una cucchiaiata d’olio e conditelo con sale, pepe e una presa di noce moscata. Rosolati che sieno i pezzi da una parte e dall’altra scolate via l’unto e gettate nella sauté una cucchiaiata rasa di farina e un decilitro di vino bianco. Aggiungete brodo per tirare il pollo a cottura, coperto, e a fuoco lento. Prima di levarlo dal fuoco fioritelo con un pizzico di prezzemolo tritato e quando è nel vassoio strizzategli sopra mezzo limone. Riesce una vivanda appetitosa

Per i più o meno pratici,

secondo i punti di vista..

Ingredienti per 4 persone

  • 1 pollo di 1,5 kg
  • 3 cucchiai di olio di oliva
  • 5 pomodori sbucciati
  • 1 bicchiere vino bianco o Cognac, secondo tradizione
  • 1/2 cucchiaio estratto di carne
  • 1 spicchio di aglio
  • 6 uova piccole fritte
  • 12 gamberi di fiume lessati nel vino bianco
  • 6 pezzi di pane fritti nell’olio
  • sale e pepe q.b.
  • prezzemolo tritato

Procedimento

Dividete il pollo, dopo averlo lavato ed asciugato, in 6 pezzi.

In una casseruola abbastanza grande fate rosolare nell’olio l’aglio, poi, a fuoco forte, il pollo, salate, pepate e fatelo dorare bene e continuate la sua cottura a fuoco basso.

Quando sarà quasi cotto toglietelo della padella e tenetelo in caldo. Scolate ora l’olio, aggiungete i pomodori a pezzetti, il vino bianco, l’ estratto di carne e fate ridurre la salsa. Rimettete di nuovo il pollo nella padella, fatelo amalgamare con la salsa per qualche minuto. Diponetelo sul piatto di portata contornandolo con i gamberi di fiume e con i crostini di pane su cui avrete adagiato le uova fritte. Per ultimo spolverizzate sul pollo il prezzemolo tritato.

Da Manzoni a Marengo passando per Bonaparte.

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