ICONOGRAFIA DEL RAVIOLO

L’iconografia del raviolo è qualcosa che fa parte della storia ligure, in particolare della zona del genovese, dove i ravioli, così come oggi li intendiamo, erano già famosi e apprezzati fin dall’antichità. Secondo gli storici dietro al termine raviolo esistono differenti interpretazioni del termine derivate dei testi medievali da cui s’ipotizza che il nome “raviolo” poteva essere sia sinonimo di tortello, (ripieno avvolto nella pasta) che di polpette modellate a forma di uovo, cotte in brodo o in grasso. Vi è poi l’ipotesi genovese che afferma che raviolo derivi da “rabilole” (cose di poco conto, in dialetto) termine con cui si identificavano i piatti poveri messi insieme dai marinai più indigenti che mescolavano avanzi di ogni genere per poi avvolgerli in un involucro di pasta.

Raviolo

Ricordiamo che verso la metà del ‘300 Giovanni Boccaccio citò e ambientò questo prodotto nel paese del Bengodi (il paese della cuccagna) dove c’era “una montagna tutta di formaggio grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli, e cuocerli in brodo di capponi”. Anche nelle famiglie più povere vi era molta cura nella preparazione di questa pasta fresca all’uovo ripiena, il cui nome cambia (raviolo o agnolotto) a seconda della posizione geografica e dei diversi ingredienti contenuti (i più diffusi sono ricotta, spinaci e noce moscata).

RAVIOLI

Vi fu poi chi, come il noto pittore genovese del Seicento, Giambattista Gaulli, detto “il Baciccio”, si faceva mandare a Roma, dov’era impegnato a dipingere la volta della chiesa del Gesù, abbondanti piatti di ravioli preparati dai parenti rimasti in Liguria, gustandoli fra le impalcature mente dipingeva santi e madonne. Ma alle cronache dell’elogio iconografico del raviolo vi è la figura del celebre musicista Nicolò Paganini.

Pare che il raviolo genovese per eccellenza sia stato inventato a Gavi Ligure, quando questo paesino apparteneva alla “Repubblica di Genova”, e il suo primo cuoco sarebbe stato uno di cognome Ravioli che attualmente è un appellativo di alcune famiglie residenti nella zona. Attualmente è ancora attivo lo storico Ordine Orbetengo dei Cavalieri del Raviolo.

Ordine Orbetengo dei Cavalieri del Raviolo

Niccolò Paganini, grazie ad un’innata capacità d’auto promozione, divenne un “divo” del violino in un’epoca in cui le celebrità erano i cantanti. A parte il suo eccezionale virtuosismo di compositore per violino, che oltre a dargli fama fece nascere numerose leggende sulle presunte qualità demoniache della sua arte, in questa sede merita ricordarne i meriti in ambito gastronomico: Paganini è stato uno dei cultori e promotori dell’uso del pomodoro in cucina, in un’epoca durante la quale l’ortaggio rosso era ai suoi esordi come alimento in Italia. Pensate che scrisse di proprio pugno anche la ricetta dei ravioli al “tocco” (sugo di manzo alla genovese)  che venne anni dopo riportata in auge da un suo manoscritto del 1840, che si trova ancora oggi presso la Library del Congresso di Washington (USA).

“Per una libbra e mezza di farina due libbre di buon manzo magro per fare il suco. Nel tegame si mette del butirro, indi un poco di cipolla ben tritolata che soffrigga un poco. Si mette il manzo, e fare che prenda un po’ di colore. E per ottenere un suco consistente si prende poche prese di farina, ed adagio si semina in detto suco affinché prenda il colore. Poi si prende della conserva di pomodoro, si disfa nell’acqua, e di quest’acqua se ne versa entro alla farina che sta nel tegame e si mescola per scioglierla maggiormente, e per ultimo si pongono entro dei fonghi secchi ben tritolati e pestati; ed ecco fatto il suco. Ora veniamo alla pasta per tirare le sfoglie senza ovi. Un poco di sale entro la pasta gioverà alla consistenza della medesima. Ora veniamo al pieno. Nello stesso tegame colla carne si fa in quel suco cuocere mezza libbra di vitella magra, poi si leva, si tritola e si pesta molto. Si prende un cervello di vitello, si cuoce nell’acqua, poi si cava la pelle che copre il cervello, si tritola e si pesta bene separatamente, si prende quattro soldi di salsiccia luganega, si cava la pelle, si tritola e si pesta separatamente. Si prende un pugno di borage chiamata in Nizza boraj, si fanno bollire, si premono molto, e si pestano come sopra. Si prendono tre ovi che bastano per una libbra e mezza di farina. Si sbattano, ed uniti e nuovamente pestati insieme tutti gli oggetti soprannominati, in detti ovi ponendovi un poco di formaggio parmigiano. Ecco fatto il pieno.
Potete servirvi del capone in luogo del vitello, dei laccetti in luogo di cervello, per ottenere un pieno piu’ delicato. Se il pieno restasse duro, si mette nel suco. Per il ravioli, la pasta si lascia un poco molla. Si lascia per un’ora sotto coperta da un piato per ottenere le foglie sottili.”
[Fonte ricetta:  Renato Bino – Maestro Storiografo – dell’Ordine Obertengo dei Cavalieri del Raviolo e del Gavi.]

Mariangela Martellotta

Photocredit :  image 2 http://genuamegenuit.blogspot.it

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