Performance e VideoArte a Cucine d’Italia Experience: Intervista a Francesca Fini.

Francesca Fini, videoartista, regista e performer, ci svela alcune anticipazioni sull’ironia provocatoria della performance “I say tomato!” che presenterà in esclusiva sul palcoscenico di Cucine d’Italia 2012. Performance, VideoArte e Ricerca a Cucine d’Italia Experience 2012. Stay tuned!

3 aggettivi per descrivere le sue opere in generale?
Sinestetiche, psichedeliche, sottilmente ironiche.

Television: www.bood-sexx.deviantart.com

Perchè ha scelto la perfomance come strumento? Esiste una differenza espressiva rispetto all’altra tecnica che utilizza nei suoi lavori ovvero la video arte?
la differenza nel mio caso è molto sottile; i due linguaggi si sovrappongono e si mescolano fino a confondersi tra loro, tanto che io parlo di “Videoperformance” per descrivere quasi tutte le mie opere. La Performance Art, ovvero l’azione del corpo in una precisa unità di spazio e di tempo, è la forma espressiva che prediligo e il video è un modo per amplificarla. Nelle mie performance io compio delle azioni interagendo dal vivo con una complessa architettura multimediale e multisensoriale. Questa architettura diventa una cassa di risonanza e genera una performance “aumentata”. Per interagire dal vivo con video e audio utilizzo numerosi strumenti che appartengono alla sfera dell’interaction design: sensori, computer vision, motion tracking. Così la mia azione in scena, necessariamente sempre diversa in base allo spazio e al luogo, all’atmosfera che si crea con il pubblico, e ricca di margini di improvvisazione, genera un complesso visuale e sonoro sempre nuovo. D’altra parte il contenuto delle mie opere di Videoarte nello specifico, fatta eccezione per quelle essenzialmente astratte e di animazione, è profondamente performativo: c’è sempre un corpo che compie delle azioni. Il corpo e l’azione del corpo nello spazio sono il nucleo di quasi tutto il mio lavoro.

Quando è iniziato il suo percorso artistico? 
Ho iniziato a fare videoarte quando ho acquistato la mia prima videocamera, circa 12 anni fa. Il primo lavoro essenzialmente artistico è stato un video di 50 minuti che ho realizzato per accompagnare il concerto dal vivo di un musicista del panorama indipendente italiano. E’ stato un momento molto importante, perché ho cominciato a sganciarmi dal linguaggio puramente narrativo e testuale. L’esperienza si è arricchita nel 2002 quando ho conosciuto l’artista americana Kristin Jones, con cui ho collaborato alla realizzazione di “Solstizio d’estate”, una grande opera di Arte urbana per la città di Roma. Probabilmente molti di voi hanno avuto modo di scorgere, negli anni passati, la processione di lupe giganti sui muraglioni del Tevere. Quelle immagini, ricavate stilizzando l’iconografia della lupa e dei gemelli presente in infinite opere d’Arte nel corso della storia, sono state realizzate per sottrazione, applicando degli stencil giganti sui muraglioni del Tevere e togliendo via lo smog con le pompe dell’AMA. Mi sono avvicinata alla Performance Art più recentemente, quando ho cominciato a frequentare alcuni esponenti della scena romana.

SOLSTIZIO D’ESTATE, Tevereterno a cura di Kristin Jones con Francesca Fini: immagine di www.gourmetto.com.

Ha dei punti di riferimento nel contesto italiano? E sulla scena internazionale?
I miei riferimenti sono davvero moltissimi e assolutamente eterogenei tra loro; gli esponenti storici della Videoarte e della Performance Art come Vito Acconci (per la sua capacità di mescolare performance e video, ma anche per il suo discorso sul rapporto tra individuo e spazi sociali), Gina Pane (per l’uso che fa della potenza “rituale” dell’azione), Jerzy Grotowski, Marina Abramovic, ma anche ovviamente Stelark e Marcel·li Antunez Roca, per la loro ricerca sull’interazione tra corpo e protesi tecnologiche, tutta la cultura e l’immaginario Cyberpunk (riassumibile nel capolavoro di Shinya Tsukamoto), ma anche il movimento Fluxus, Joseph Beuys, il Dadaismo, la danza Butoh, il Teatrodanza di Pina Bausch, l’estetica ipertrofica di Bob Wilson e il lavoro di Matthew Barney…

Il riconoscimento più importante fino ad oggi?
Ogni traguardo raggiunto per me è un riconoscimento importante, quello più importante di tutti è sicuramente quello che non ho ancora ottenuto.

Qualche anticipazione sulle sue video-performance previste per Cucine d’Italia Exeprience?
Per Cucine d’Italia 2012 ho preparato “I say tomato!” una performance in cui gioco con l’immaginario della classica casalinga anni ’50.
Mi sono imbattuta di recente in un filmato propagandistico del 1952. Ci sono tre meravigliose teen-ager americane che bevono coca-cola da bottiglie di vetro, in una cucina con il pavimento a scacchi e una mostra di elettrodomestici dai colori pastello. Una delle ragazze, Marilyn, è nei guai: deve scrivere un compito sul tema dell’emancipazione femminile, ma non sa da dove cominciare. Una delle amiche, l’intellettuale occhialuta, le suggerisce di parlare del voto alle donne e ottiene come risposta un sorriso compassionevole. Niente politica per Marilyn; lei vuole parlare della donna nella vita di tutti i giorni, vuole raccontare fatti vicini ad ognuna di loro. Ed è a quel punto che la lavatrice in cucina comincia a gorgogliare. A Marilyn viene una grande idea: perché non parlare dell’unica forma di emancipazione che tutte possiamo davvero condividere, ovvero quella dalle fatiche domestiche? Il filmato prosegue con Marilyn che guida le sue amiche alla scoperta del magico mondo degli elettrodomestici, fino a convincere le madri delle due ad ingannare i loro mariti per farsi comperare l’agognata lavatrice/asciugatrice. Pur nell’ingenua misoginia per cui l’emancipazione femminile si esplicherebbe concretamente nella capacità di raggirare il proprio marito (dispensatore di denari) per farsi comperare una lavatrice, questa perla anni ’50 mi ha colpita. Mi ha colpito il granitico assunto per cui la creatività e la tecnologia sono viste come fonte di emancipazione femminile (anche se in questo caso si limiterebbero ad alleggerire le fatiche della schiavitù domestica). Insomma mi sono trovata a fare i conti con una sorta di cortocircuito intellettuale che scuote le mie corde di donna che utilizza copiosamente la tecnologia in un ambito assai diverso, ma altrettanto faticoso, prosaico e quotidiano, come l’Arte. Mi sento, profondamente, una “casalinga” dell’Arte.

Giada Vargiu

LISZT, Francesca Fini, Videoperformance 2012.

Performance e VideoArte a Cucine d’Italia Experience: Intervista a Francesca Fini.

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