Alberto Colacchio e la cucina: una storia di passione tra fornelli e golf

Alberto Colacchio, classe 1976 ed un passato in Guardia di Finanza e da aerosoccorritore, è oggi chef patron del ristorante gourmet Aqua Mater, all’interno del Circolo di golf di Castel Gandolfo. Il giovane Alberto racconta a Cucine d’Italia la sua vita tra i fornelli.

Alberto, quando nasce il tuo amore per la cucina?

Le origini campane ed abruzzesi dei miei genitori hanno influenzato molto la mia infanzia, tramandandomi i sapori di terre a me lontane, ma in fondo, molto vicine. Da bambino, mi cimentavo nella sperimentazione di nuovi accostamenti ed ingredienti assieme a mio padre, ma la regina della cucina era mia madre.

L’aver lasciato la Guardia di Finanza ha rappresentato un passo importante nel tuo percorso. Qual è stato il motivo che ti ha spinto  a questa “rivoluzione”?

La passione per la cucina ha sempre segnato la mia vita. Anche nel corpo della Finanza dirigevo la mensa ed era per me una continua sfida cucinare per molte persone. Poi decisi di prendere il brevetto di aerosoccorritore, ma dopo circa un anno mi resi conto che mettevo quotidianamente a rischio la mia vita; cosa che, avendo famiglia, non potevo permettermi.

Trovi ci siano assonanze tra il tuo ruolo qui all’Aqua Mater ed il tuo passato di cuoco per la Guardia di Finanza?

Beh…in realtà sì. A pranzo, cucino solo ed esclusivamente per gli iscritti al Circolo e per i condomini, dei quali conosco abitudini, gusti ed i loro “vizi” nell’approcciarsi alla tavola. Mi piace prendermi cura di loro, preparando un piatto che li emozioni e li “coccoli”. È un po’ come una grande famiglia e questo mi motiva e mi fa sentire a casa. Quando lavoravo nella Guardia di Finanza e mi trovavo a preparare per generali ed ufficiali, conoscevo le loro preferenze e dovevo necessariamente rispettare i cerimoniali propri dei pranzi o delle cene di rappresentanza.

Dunque, spiegaci un po’ la duplice veste di questo tuo ristorante…

Fino a sei mesi fa, il circolo era esclusivo e, come tale, aperto al pubblico terzo solo la sera per l’organizzazione di eventi e/o ricorrenze. Adesso, invece, a pranzo cucino esclusivamente per gli iscritti ed i condomini, mentre a cena apro le porte a chiunque voglia venire a provare la mia “anima gourmet”, il mio vero cruccio.

Pertanto, nel Circolo esiste anche un condominio?

Sì, ci sono 150 unità abitative. Ovviamente, di lusso.

Come hai operato in questa prima fase?

Questi primi sei mesi sono stati di affiancamento, per cercare di non creare un taglio netto rispetto allo stile della precedente gestione della cucina e per meglio comprendere la domanda. Un lavoro duro ed intenso che mi ha richiesto molto tempo e non mi ha permesso di organizzare un‘inaugurazione ufficiale. Non potendo contare su un folto numero di collaboratori tra i fornelli, devo procedere passo dopo passo per definire l’imprinting che intendo dare alla proposta in sala, ed i dettagli dell’inaugurazione che si terrà probabilmente a settembre-ottobre.

Quanti coperti conta il locale?

Il ristorante gourmet ne conta solo 20; per gli eventi arriviamo a 250 tra la sala interna e gli esterni. Previa richiesta al Circolo e solo in occasioni peculiari o particolari ricorrenze, posso utilizzare anche la sala soci.

Ci puoi fare un primo bilancio di questi sei mesi?

Sono stati mesi di lavoro intenso, ma ho stretto un ottimo feeling con la proprietà, i collaboratori, il personale di sala e con gli iscritti. Adoro inoltre l’ambiente: un palazzetto con affreschi del Seicento, una vista mozzafiato sulle 18 buche del campo…si può desiderare altro? Da poco, poi, presso il Ninfeo è possibile celebrare matrimoni con il rito civile.

Al di là della cucina gourmet, hai apportato altri cambiamenti?

Ho installato un forno a legna nella zona esterna, dove mi piacerebbe organizzare eventi di degustazione “tematici”, dedicati ad esempio a pizze oppure all’intramontabile porchetta, un doveroso ringraziamento a quest’angolo di paradiso che mi ospita. Il problema, però, è quello di far conoscere questa nuova veste del mio locale, visto che il Circolo è stato sin dall’origine concepito come esclusivo.

Prossimi obiettivi?

Mi piacerebbe ampliare la mia proposta gourmet, ma avrei bisogno di una nutrita “brigata di cucina”. Dunque, è un traguardo verso cui tendo pian piano.

A novembre del 2012, presentasti alla Prova del Cuoco il tuo piatto “Fettuccine rosse con broccoli ed arzilla”. Come è nata l’idea di questo connubio di sapori?

Amo la cucina romana; infatti, quando terminai il mio percorso alla Italian Genius Academy, chiesi di affiancare Arcangelo Dandini, per me vero oste della tradizione. Tuttavia, per non cadere in un déjà vu, provai a contaminare le ricette classiche e preparai questa tagliatella inserendo nell’impasto bacche di goji, zafferano e concentrato di pomodoro. Vedevo poi in questo l’elemento di innovazione da abbinare all’evergreen “broccoli ed arzilla”, un mito per gli amanti della cucina di territorio.

Chi ti conosce sa che non ami la pasticceria, perché?

È un’arte troppo precisa e statica, che ruota attorno a tre sole variabili: tempo, temperatura e dosi. Al venir meno di una di queste, la ricetta – purtroppo – non riesce…la pasticceria è troppo incentrata sugli utensili, sulla strumentazione, mentre in cucina occorrono naso, occhio e bocca.

Dunque, mentre prepari assaggi…

Di continuo; devo farlo per poter capire come costruire un piatto. È una vita, quello dello chef, che impone ritmi atipici e sacrifici, ma regala tante soddisfazioni. Bisogna sempre essere presenti nella propria cucina, altrimenti non si riesce a regalare emozioni.

Il tuo più  grande maestro?

Premetto che ho imparato molto da Arcangelo Dandini e la mia esperienza presso il suo locale mi ha permesso di apprendere la tecnica per realizzare uno degli emblemi dello street food romano, il supplì…ne ho cucinati davvero centinaia! Tuttavia, le mie più grandi insegnanti sono state mia nonna e mia madre, profonde appassionate – quasi prive di tecnica – alle quali mi affiancavo da bambino, incuriosito dalla loro maestria, per carpire i segreti di ricette tramandate di generazione in generazione.

Il tuo motto “La vita è un equilibrio di emozioni così come la cucina è un equilibrio di sapori” svela la tua interpretazione dell’arte del cucinare…come combinare tecnica e passione?

Per me, è fondamentale usare la tecnica per raggiungere il risultato che mi prefiggo nel realizzare un piatto, ma abusarne significa perdere l’equilibrio…come nella vita, anche in cucina bisogna lasciarsi andare. La mia sfida è quella di trovare il classico q.b. tra sentimento, creatività e tecnica.

Qual è il tuo piatto preferito?

Pesce in tre tempi: un crudo, uno marinato (spezie, sale e zucchero), uno cotto (a vapore o scottato). Una volta, ho presentato l’ostrica in tre tempi e due cotture: una sfumata al brandy, con guanciale croccante, sale maldon e pepe di sarawak; un’altra in tempura accompagnata con una maionese con all’interno un’ostrica frullata; l’ultima cruda, con una citronette di lime e menta. Adoro molto i percorsi, perché si inizia da un punto certo – di solito una preparazione “a crudo” – ma non si sa dove si approda al termine.

C’è un ingrediente che non preferisci o che ami particolarmente?

No, nelle mie ricette cerco di utilizzare tutti gli ingredienti. Preferisco il pesce, mi diverte di più della carne. Per questo, uso tagli particolari (animelle, interiora ecc.) oppure carne differente, come ad esempio lo struzzo, il cavallo ecc.

Il piatto che più ti rappresenta?

I primi, perché li sento “vivi”, istantanei. Qualsiasi altra portata, si può preparare in più tempi o in anticipo (arrosti o bolliti ad esempio), mentre un primo piatto va seguito dall’inizio alla fine…non puoi assolutamente lasciare la pasta o il risotto abbandonato a se stesso in cottura, devi costantemente seguire la salsa per il condimento, assaggiare per capire quando è il momento di scolare o di mantecare. I primi sono più rappresentativi di un attimo, di un momento e, in quanto tali, penso riflettano appieno il mio stato d’animo ed il mio essere.

Manuela Mancino

Alberto Colacchio e la cucina: una storia di passione tra fornelli e golf

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