“Cibosofia” della POP ART.

Pop-Art ancora oggi è sinonimo di arte popolare, la cui filosofia espressiva di esasperazione della globalizzazione di massa si ripercosse anche sul cibo.

Roy Lichtenstein – Hot dog (1964)

Si trattò di un movimento in netta contrapposizione con l’eccessivo intellettualismo dell’Espressionismo astratto. Nacque in Inghilterra e si diffuse rapidamente negli Stati Uniti – seppure in forme diverse -.

Gli artisti della Pop-Art Inglese concepiscono una forma d’arte meno ridondante e più attenta alla scelta dei soggetti, gli americani apparvero maggiormente “esuberanti” quasi avolersi prender gioco del principio stesso di autorevolezza del mondo artistico fino ad allora radicatosi nel pensiero comune. Fra le caratteristiche comuni agli artisti della Pop Art ritroviamo l’utilizzo di soggetti di largo consumo come cibo in scatola, hamburger precotti e le lattine di bevande e alimenti. L’America degli Anni ’60 era diventata una insaziabile società consumistica che impacchettava l’arte alla stregua degli altri prodotti, celebrando l’esibizionismo, la promozione di sé e il successo immediato. Le principali ansie della Pop-Art vennero così condivise da tutto il popolo statunitense: ansia di massa per il sesso, l’automobile e ovviamente il cibo, divenuto oggetto di culto. Era il 1962, quando l’esordiente Andy Warhol, artista di New York, tenne la sua prima mostra, una personale presso la Galleria Ferus di Los Angeles. Per la prima volta in una galleria vennero esposti dei barattoli di zuppa al pomodoro, uno fra i tanti oggetti del consumismo alla portata dei frequentatori dei supermercati.

Rosenquist James – Spaghetti-normal (1972)

La paternità dell’idea pochi sanno che era di Muriel Latow, giovane gallerista edecoratrice d’interni che stimolò Warhol con queste emblematiche parole: “C’è bisogno di qualcosa che si vede ogni giorno, qualcosa che chiunque possa riconoscere. Qualcosa come un barattolo di Campbell’s Soup”. Una serie infinita di barattoli di zuppa in scatola molto famosa e apprezzata negli Usa è un esempio perfetto di ripetizione seriale ossessiva. Famose le sculture realizzate da Johns sotto forma di lattine di birra, le sculture di Oldenburg incentrate su gelati e hamburger oppure i dettagli a dir poco inquietanti di Rosenquist. Roy Lichtenstein è un altro dei maggiori esponenti della Pop Art. Essendo nato a New York, la sua formazione artistica è spiccatamente americana e nel suo caso si arricchisce di una passione per la grafica pubblicitaria e per il disegno industriale.

Roy Lichtenstein – Meat (1962)

Fondamentale per lui è il 1961, anno i cui entra in contatto con Andy Warhol: proprio grazie a questo incontro avviene la svolta Pop. L’intervento creativo di Lichtenstein consiste nel mutare gli spessori di contorni, tratteggi e retinature tipografiche, in modo da fare  apparire le immagini innaturalmente fuori scala e, conseguentemente  irreali: i soggetti sono tanti fra i quali si ritrova il cibo letteralmente “iconizzato” su poster dai colori esuberanti. E che dire del celebre marchio della Coca Cola che ieri come oggi spopola in innumerevoli opere d’arte, confermando la ricchezza simbolica di questa icona e divenendopubblicità occulta per generazioni di consumatori? La bevanda dalla ancora segreta ricetta riprodotta con la tecnica del combine painting di Robert Rauschenberg in “Coca-Cola Plan” (1958), a quella del décollage di Wolf Vostell, intitolato semplicemente”Coca-Cola”, del 1961, e poi le infinite variazioni sul tema di Andy Warhol, fino alla famosa  opera dell’italiano Mario Schifano, “Coca-Cola tutta” (1972).

Roy Lichtenstein – Still life with crystal bowl (1973)

La parola ha sempre avuto un ruolo importante nei lavori di Mario Schifano, le cui opere, fin dagli esordi, hanno assunto un linguaggio materico e informale. Le sue prime tele monocrome, erano in un unico colore gocciolante. In seguito, dalle campiture colorate, emersero cifre e lettere, parole e segni presi proprio dal mondo della pubblicità. Altro esponente di spicco della Pop Art italiana è Mimmo Rotella che rappresenta un punto fondamentale dell’arte contemporanea italiana ed europea; ancora oggi le sue opere restano di incredibile attualità. Rotella esplorò un nuovo concetto di spazio pittorico o meglio di spazio visuale, diverso da quello naturalistico e prospettico e da quello cubista o da quello dell’astrattismo geometrico; il suo spazio non era terreno ma silenzioso e profondo, che si sprigionava direttamente dal colore. Lo spazio di Rotella era autobiografico: attorno a sè lui vedeva il grigio delle strade e un’aurea malinconica propria del Sud di allora, e il suo modo di fare arte era alquanto anticonformistaStrappare i manifesti dai muri era la sola compensazione, l’unico modo di protestare contro una società che ha perduto il gusto del cambiamento e delle trasformazioni favolose. Quello di Rotella non era un collage, quanto piuttosto il suo contrario: i manifesti strappati dal  muro erano riportati direttamente sulla tela e, una volta incollati sul supporto, di nuovo lacerati in un superbo, sfrontato gesto d’aggressione.

Mario Schifano – Coca Cola tutto (1972 – acrilico su tela)

I soggetti furono quelli tipici della Pop-Art europea e statunitense: oggetti del consumo globale fra i quali spopolano in Italia gli alimenti. Se però in America la Pop-Art venne ingaggiata dalla case produttrici per creare mercato, veicolando i consensi mediante la pubblicità iconografica (vedi la Campbell’s Soup), in Italia il concetto di cibo rivisitato in chiave artistica si mantenne sempre sull’ individualismo.

 

 

Mariangela Martellotta

Andy Warhol – Campbell’s Soup Cans (1962)

 

 

“Cibosofia” della POP ART.

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