Extravergini I&P: musa ispiratrice del premio Ione Zobbi e della cucina alla ricerca dell’invisibile

Chi conosce Paolo Borzatta ed i suoi extravergini sa bene che il frantoio I&P è molto più che un luogo deputato alla trasformazione delle olive. Difficile, infatti, trovare un aggettivo capace di sintetizzare i mille volti di questo lembo nel cuore della Tuscia: un laboratorio del gusto, una fucina di idee, un angolo di terroir in cui spira sempre una “brezza” di novità…Un mondo i cui confini sembrano ridisegnarsi periodicamente sotto gli impulsi di chi, come Paolo, pone interrogativi complessi, che aprono nuove ed inimmaginabili frontiere.

Così, in sincronia con le frequenze di questo luogo, trascorre l’inaugurazione delle opere vincitrici del premio Ione Zobbi, in equilibrio tra invisibile ed inno alla cultura. Che l’olio sia da sempre simbolo identitario di un popolo è testimoniato dalle creazioni di Francesca Santoro e Anna Viviani, vincitrici ex aequo del concorso dedicato ad opere d’arte ispirate all’olio quale icona del “saper vivere”.

Entrambe formatisi presso l’Accademia di Brera di Milano, le giovani artiste interpretano differentemente il complesso di simbolismo e antiche tradizioni cui l’ “oro verde” richiama, spesso non nobilitato dalle tendenze attuali, che fanno del prezzo l’unico metro di giudizio ai fini dell’iter di valutazione degli oli.

Evocativo della “purezza” che si è soliti associare all’extravergine, il progetto di Francesca Santoro ne dà rappresentazione attraverso il volto di una fanciulla, realizzato con l’impiego di olive in ceramica di varie tonalità. Riconosciuta capacità espressiva ed eleganza sono le motivazioni alla base del premio conferitole; apprezzato, altresì, la scelta dei materiali ed il cromatismo dell’opera che ripropone i cangianti colori delle olive nei diversi stadi di maturazione.

Ambra Viviani, invece, legge in chiave minimal il mondo dell’olio: su cinque cilindri, alcune tacche indicano i cardini dell’extravergine (acidità, perossidi ecc.), mentre una banda metallica verde oliva, collegando i vari cilindri, segna i livelli di purezza dell’olio. Ritenute degne di nota la pulizia della raffigurazione ed il rigore nel trasmettere questa rinnovata immagine dell’ulivo e dei suoi frutti.

Nel corso della serata, l’extravergine diventa altresì fonte di ispirazione a tavola, quel luogo attorno al quale ci si riunisce, più o meno consapevolmente, per soddisfare solo bisogni primari, ovvero per curare corpo e spirito. Ettore Bocchia, executive chef del Grand Hotel di Villa Serbelloni, racconta pertanto con i suoi piatti il ruolo dell’olio nella vera alta cucina, una cucina che va alla ricerca dell’invisibile. Ma anche un’arte che, non fermandosi all’originaria funzione nutritiva, regala un caleidoscopio di sensazioni: sazietà, gusto, estetica, intelletto, curiosità (o sorpresa), e – soprattutto – pace interiore, intesa come soddisfazione generata da una perfezione (imperfetta) e naturalezza del piatto, che completa desideri spirituali e fisici di un determinato istante.

Nasce dall’idea di riappropriarsi di questo “piacere” profondo il menu proposto da Bocchia che, rompendo i canoni dell’impostazione contemporanea, rifugge dalla “mera” ricerca della novità per lasciare l’animo degli ospiti libero di provare vibrazioni profonde. Vibrazioni non codificabili che costituiscono l’invisibile, quell’unicum frutto di infiniti fattori, quell’ “altro” che resta al termine di un pasto e che si comprende non essere scaturito soltanto dalla sommatoria dei piatti degustati.

L’itinerario proposto non è una semplice rassegna della nota maestria dello chef né della sua vena creativa, ma un susseguirsi di istantanee, rappresentanti – ognuna – un attimo, un’immagine di “piacere” di vivere. Ciascuna di esse, filtrata dalla sensibilità individuale, si carica di significato, valore e dettagli per trasformarsi in un’esperienza soggettiva. L’invisibile, dunque, diventa anche inenarrabile e rende ardua la descrizione delle sfumature di cui ogni portata si colora, sfumature che sono lo specchio dello stato d’animo di ognuno e del proprio modo di dialogare con il cibo. Ed è forse questo dialogo a suggerire un’associazione – tanto banale quanto ambigua – con la Natura: se da un lato, infatti, l’esperienza umana interpreta i cardini del sistema alimentare come esito di processi culturali, dall’altro, invece, si è sempre avvertita la necessità di armonizzare i propri ritmi di vita con quelli della Natura. Dinamica è la contrapposizione tra Natura e Cultura, tra Tempo ed Essere, ossia tra stagionalità dei prodotti e la tendenza a contrastarla. Ma, probabilmente, è in questo “odi et amo” tra Natura-Cultura-Tempo che risiedono le origini del piacere: alla ricerca costante di palliativi al timore di carestie, l’uomo ha sperimentato metodi di conservazione più o meno rudimentali che, nei secoli, sono divenuti un patrimonio di conoscenze applicate e applicabili all’alta gastronomia. E così, le tecniche, nate dall’ansia insita nell’indole umana, si convertono in opportunità di “piacere”: dal formaggio ai salumi, dalle conserve al vino, tutto è figlio dell’esigenza di controllare ed allungare il tempo.

Solo recuperando questo corrispondenza che è assieme istinto primordiale e razionalità, si compiono i primi passi verso la comprensione dell’invisibile, verso la riappropriazione della “normale” ciclicità dei propri ritmi, indispensabile per risvegliare la sensibilità – sopita da fattori terzi – di ascoltare, anche solo per un attimo, i rintocchi della propria interiorità.

Temi complessi che partono dal piatto alla volta dell’invisibile, sfiorando concetti di pace interiore e tornando di nuovo al punto di inizio…Impossibile trovare il filo di Arianna per districarsi nel labirinto creato dal sovrapporsi di sensazioni, riflessioni, immagini sbiadite e interrogativi che restano in quel chiaroscuro tratteggiato dal labile confine tra i valori coinvolti.

In assoluta sintonia con il tenore della serata, i vini di Giorgio Mercandelli, autentici emblemi del credo di un uomo che fa del rispetto della Natura una vera e propria missione. Soltanto da una siffatta e sincera riverenza nascono nettari di un credo che definire “vini” appare riduttivo: in ogni calice, si ritrova il cuore di Giorgio, il riflesso del suo carattere e della sua emotività. Mai identici a se stessi, sono vini capaci di evolvere nel bicchiere e regalare, sin da subito, piacevoli sorprese; svelano la loro unicità e l’impossibilità di ricondurli ad una tipologia o categoria. Nel loro dinamismo, sfuggono a canoni precostituiti o alla rigidità degli schemi imposti da vitigni ed uvaggi; semplicemente, riescono ad emozionare ad ogni sorso, ad evocare un “qualcosa” che scalda il cuore e che, come le creazioni dello chef, fa vibrare l’animo.

Vini che vedono nella propria indecifrabilità e mutevolezza la loro peculiarità e vigore; vini che, nel loro “essere” camaleontico, si fanno a fatica penetrare, svelando così assoluta fedeltà a se stessi, al loro “Es” ed “Io”.

Al termine della serata, si portano via nuovi dubbi, la gioia di aver intrapreso il lungo percorso verso l’invisibile e l’unica certezza di aver incontrato grandi personalità.

Manuela Mancino

Extravergini I&P: musa ispiratrice del premio Ione Zobbi e della cucina alla ricerca dell’invisibile

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