Gaetano Costa: la storia di un sogno diventato realtà

A poco più di un mese dall’apertura del suo nuovo locale presso il Ritz di Piazza Euclide (Roma), Gaetano Costa svela a Cucine d’Italia la sua vita da chef, manager e molto altro.

Esiste un luogo o un ricordo specifico cui risale il tuo primo contatto e amore con la cucina?

La prima volta che entrai all’Istituto alberghiero fu per me l’inizio del mio rapporto con il mondo della cucina.

Come e quando hai iniziato a lavorare alla tua arte culinaria?

In occasione della mia prima stagione ad Ascea Marina, nel 1989. Fu una stagione durissima, sia perché la cucina ancora non si avvaleva delle strumentazioni tecniche di oggi, sia perché per un teenager come in quegli anni era davvero difficile resistere al richiamo delle vacanze e del mare. Iniziammo in sette e terminammo in due.

Come crei un nuovo piatto? Trai ispirazione o passi attraverso un percorso di fasi prestabilite?

Per me è un mix tra l’ispirazione che dà la classica scintilla e l’esperienza che, invece, assicura il risultato finale…quando costruisco un piatto, mi immagino il gusto finale.

Credi esista un tuo stile, un taglio dei piatti che proponi?

L’infinito, l’idea che ogni volta si riparte da zero: creata la tua identità in un luogo,  quando ti sposti, potresti perdere la notorietà e ripartire da zero.

Crei i piatti per il fruitore finale?

Qualcuno ha, in realtà, ispirato talune mie ricette. Ad esempio, alcuni miei cari amici produttori di pecorino di Amatrice…grazie a loro ho realizzato una versione alternativa di amatriciana, ovvero ho racchiuso la classica salsa in un lingotto di pecorino. Di questo piatto, adoro il contrasto tra l’esterno (che dà l’idea di stile) e l’interno (che, invece, rimanda alla verace tradizione culinaria).

Se non avessi sbagliato la stazione della metropolitana, pensi ti saresti potuto dedicare ad altro?

Non lo so, ci penso spesso. A volte non mi riconosco, altre volte sì. Da bambino, amavo dipingere, ma non credo sarei potuto diventare un pittore famoso. Amo molto i cani, ho tre labrador; forse, sarei diventato un addestratore.

I tuoi piatti hanno un imprinting mediterraneo. Ti definiresti un cultore della cucina italiana?

Penso di rimanere molto italiano, di concedermi solo raramente una divagazione per sperimentare; dopo, però, torno sempre alle mie radici. Credo molto nei contesti storici: oggi, le persone chiedono semplicità nel piatto e, a causa della ridotta capacità di spesa, si è sempre meno orientati verso la nouvelle cuisine. Ad esempio, nel mio ex locale di via Sicilia, avevo proposto menu a prezzi contenuti, una formula easy che però mi permetteva solo di intercettare un numero limitato di persone, mentre la necessità era ovviamente ampliare il portafoglio clienti. L’idea di fondo era quella di creare una scala differente di “accessibilità mentale” tra il ristorante gourmet della sera ed il pranzo, comunque di qualità, incentrato su menu componibili a prezzi ridotti. Ispirate alla stessa logica erano le serate a tema, ma mi sono reso conto che la gente veniva solo in quelle occasioni…avevo bisogno di stimolare il cliente a tornare presso il mio locale, non solo per cene tematiche o degustazioni di differente tenore.

Cosa rappresenta per te il tuo brand?

Il risultato della mia attività di ricerca e creatività. L’obiettivo è creare dei prodotti a mio marchio che siano in linea con la “freschezza” dello stesso brand. Nel 1995, lo chef – ed amico – Todisco, mi chiamò per offrirmi l’opportunità di lavorare presso l’hotel Parco dei Medici a Roma. Accettai, ma dopo non molto tempo, fui chiamato come sous-chef al Majestic…l’allora chef, Francesco Franceschini, si trasferì a Napoli e lasciò a me il posto di chef e di food and beverage manager. Nel mio percorso, ho sempre mantenuto un ottimo rapporto con la proprietà degli hotel che hanno ospitato i miei ristoranti; in particolare, alla famiglia proprietaria del Majestic, promisi che sarei andato via dalla loro struttura solo per aprire un mio locale e non per entrare nuovamente nella cucina di altri alberghi. Il mio ristorante a via Sicilia è nato dalla voglia di esprimere me stesso appieno, senza limiti…mostrare al pubblico la mia vena creativa. Fui costretto ad abbandonarlo per un rincaro ingiustificato del canone di locazione. Unii il mio brand con il Boscolo, anche per risollevare il momento di difficoltà che l’Aleph stava attraversando. Anche se rimango autonomo dalla proprietà degli alberghi presso cui apro i miei ristoranti, la strategia da seguire non posso determinarla in maniera completamente distaccata dalla logica dell’hotel.

Prossimi obiettivi?

Concentrarmi sul mio brand e sui ristoranti che gestisco per farli funzionare al meglio.  In futuro, mi piacerebbe creare una collezione di locali che, pur nella differente natura (resort, enoteche, ecc), esprimano la mia identità. Mi sto proiettando verso il mondo manageriale.

Se la tua cucina fosse un’opera d’arte o una canzone, a cosa la paragoneresti e perché?

Ad un Gaudì, per le forme tondeggianti e per l’ironia cromatica. È importante impostare il proprio lavoro assicurando serietà, ma è possibile inserire il classico q.b di autoironia.

I tuoi piatti classici sono tra loro molto diversi; alcuni sembrano una contenuta rivisitazione della tradizione, altri, invece, si spingono più in là. Quali ritieni ti rappresentino di più e perché?

In realtà, tutti mi rappresentano anche se in modo differente: da un lato, sono una persona molto tranquilla e semplice; dall’altro, invece, mi ritengo molto complicato.

Quanto pesano le tue radici campane in cucina?

Tantissimo. Direi che le mie origini campane pesano all’ottanta percento, quelle siciliane al venti percento.

Per conquistare una persona, che ricetta proporresti?

Per me, una persona si conquista più con l’ospitalità che con la ricetta. Un piatto non perfetto, in un ambiente ospitale, ti fa tornare;  un clima freddo e poco accogliente, invece, non ti invita a provare nuovamente il locale, sebbene la cucina risulti eccellente.

Il tuo più grande maestro?

Jean Luc Fruneau presso l’Aldovrandi di Roma.

Il tuo piatto preferito?

Quando vado a mangiare fuori, ricerco l’ospitalità prima della ricetta. Il mio piatto preferito è comunque il fuso di pollo con gli scampi, perché è legato al concetto di “movimento”: un ingrediente dietro l’altro; rappresenta anche il concetto di coesistenza tra mondi differenti.

Che vino abbineresti a questa ricetta?

Un bianco del mio territorio, come ad esempio un Furore. Se, invece, mi oriento sulla classica bollicina, un franciacorta per me è ideale.

La tua determinazione è evidente dai traguardi raggiunti. Quanto pensi ti abbia aiutato la tua passione? Di fronte ad una sconfitta, ti ha motivato di più l’amore per la cucina oppure la tua caparbietà?

Ritengo che determinazione e passione sia cugini, in quanto è la passione che ti rende determinato. Pesano entrambe allo stesso modo. Altra caratteristica per me fondamentale è l’istinto, che però resta una dote.

Come ti definiresti? Chi è Gaetano per Gaetano?

Gaetano “persona privata” è un uomo molto semplice, che ama riflettere, anche dedicandosi ad attività di relax (esempio giardinaggio). Gaetano “personaggio pubblico” è un professionista che pensa di doversi impegnare al massimo per soddisfare il cliente e dunque giustificare la spesa di chiunque venga a trovarlo presso il proprio ristorante gourmet. Non ho la presunzione di lasciare il segno, ma il cliente deve stare bene ed è importante che anche la location, negli arredamenti, sia in linea con lo stile della cucina.

Nella vita, sia la fortuna che la bravura hanno un peso determinante. Quale delle due per te prevale e perché?

Si dice che chi è bravo, si porta fortuna da solo, ed in parte è vero. La fortuna, infatti, fornisce l’occasione che solo la bravura ti permette di sfruttare appieno. Ognuno è artefice della propria vita…bisogna saper cogliere il momento ideale.

Manuela Mancino

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