La cucina secondo Giorgio Trovato tra ricerca e tradizione

Quando la contaminazione si fonde alla cucina tradizionale con ingredienti locali in parte autoprodotti, quando la ristorazione non è solamente nutrire il corpo, ma creare un’esperienza di cui il cliente possa conservare il ricordo, non si può non citare il Convito di Curina, il ristorante dell’Hotel Villa Curina Resort. Una splendida dimora cinquecentesca che, a ragione, si è guadagnata le due casette della Guida Michelin e le due forchette per il ristorante nel 2014.

La location contribuisce già da sola a creare un ambiente rilassato e familiare, ma di grande gusto. Attorno alla struttura, piccolo borgo del 1500 che segue regole e arredi dei tipici casali toscani, troviamo un meraviglioso giardino all’italiana e un terrazzamento che si affaccia sui colli senesi.

La cucina è un viaggio sensoriale che parte dalla terra di origine dello Chef Trovato, la Calabria, passando per la Toscana, luogo di formazione, e si perfeziona con le contaminazioni dovute alle numerose esperienze all’estero. Giorgio Trovato, Executive Chef della struttura, Consulting Chef per Trovato Food Project e Presidente della Federazione Italiana Professional e Personal Chef (FIPPC) ci racconta la sua visione della cucina e gli attuali temi “caldi” del mondo del Food.

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Cosa pensa delle varie tendenze:  vegana, vegetariana, molecolare?

La cucina è una forma di espressione e come tale ha l’esigenza di dare sfogo a tutte le variazioni possibili. Nulla è più democratico della cucina. Questa permette a tutti di esprimersi secondo le proprie idee, il proprio background e le proprie esigenze. La mia è una cucina basata sulle materie prime, quindi sono molto distante dalla cucina molecolare; per quanto riguarda le cucine vegana e vegetariana, rispetto tutte le forme di espressione, ma le estremizzazioni non mi appartengono molto.

Come considera gli Chef che fanno spettacolo?

La figura è stata sdoganata negli ultimi anni: non vi è un palinsesto televisivo che non contenga un programma di cucina al quale partecipano Chef. Vedo positivamente ciò, perché serve a fornire un’idea più ampia della figura. Ritengo, però, che in alcuni casi il messaggio sia limitato, nel senso che apparire ed essere bravi in televisione è un discorso totalmente differente dal fare lo chef o il cuoco, che sono attività molto più complesse. Rispetto ciò che fanno i miei colleghi, ma credo che la cucina si faccia in cucina e non in tv. La cosa che non apprezzo molto è che il messaggio che passa tramite la televisione spesso sia distorto. Molte persone che si avvicinano a questo mestiere, stagisti e studenti che vogliono imparare non capiscono quanto il lavoro sia usurante, non solamente a livello fisico, ma anche a livello di rapporti interpersonali. E’ un lavoro totalizzante che ti mette nella condizione di rinunciare a molte altre cose, pertanto bisogna scegliere questo tipo di lavoro solamente se ci sono fortissime motivazioni e la passione.

Come immagina la cucina tra 10 anni?

Credo che la cucina rifletta il singolo momento storico in cui si vive e che al presente risenta di molte contaminazioni. Tra 10 anni immagino una cucina molto più veloce, con uno street food ancora più evoluto. Immagino due caratteristiche opposte, ovvero, da una parte una cucina molto più attenta in termini salutistici, di ricerca del prodotto, di valorizzazione del territorio, di combinazioni tra le nuove invenzioni di carattere tecnologico, mentre d’altra parte, per minor tempo a disposizione e costi apparentemente più bassi, un tipo di cucina molto “mordi e fuggi”. Una separazione molto più forte tra il concetto di nutrirsi e mangiare.

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Com’é la cucina a casa di uno chef?

E’ una cucina molto semplice, perchè probabilmente mangerà solo pizza e tonno in scatola o insalatine già pronte! La cucina in casa di uno chef è un discorso molto diverso dalla cucina sul posto di lavoro, perchè quando si maneggiano tutto il giorno materie prime, l’unica cosa che ti va di fare è poterlo ripetere a casa. Credo che la cucina si possa fare in due modi diversi: per il cliente e per se stessi. Nel primo caso la tecnologia è essenziale per poter ottimizzare tempi, cotture, stoccaggio dei materiali per offrire il meglio al cliente.

Quali sono le regole da seguire perchè una cucina domestica sia funzionale?

Nutrirsi e fare in modo che a livello psicofisico ogni individuo raggiunga la soddisfazione di tutti i sensi, significa adeguare la cucina allo stile di vita e alle necessità di ogni singolo soggetto. In visione di questo subentra l’interesse verso nuove tecniche di cottura che possano semplicemente essere realizzate a casa, come la cottura al vapore o altre che mantengano quanto più possibile intatte le caratteristiche degli ingredienti.

Le piace provare nuovi strumenti in cucina?

Sì, perchè la cucina è curiosità. Riuscire a capire cosa si possa ottenere con determinati strumenti è estremamente stimolante. A livello professionale utilizzare le nuove tecnologie è quasi un obbligo, perchè chi fa questo lavoro non si può ostinare a riproporre cose fuori dal tempo e ripetere gesti e azioni del passato. Ci sono strumenti e tecniche che spesso e volentieri sono di grosso aiuto, soprattutto in casa, che non vadano a snaturare materie prime e preparazioni.

Quale elettrodomestico consiglierebbe ad un amante della cucina?

Sicuramente non consiglierei il forno a microonde. Ne consiglierei due: una buona planetaria e tutto ciò che permette di isolare gli alimenti in sottovuoto. Per me il sottovuoto è di gran lunga più importante di molti altri strumenti, perchè allunga il tempo di vita degli alimenti. In termini di sicurezza, è essenziale contro le contaminazioni batteriche.

Cosa pensa dei piani ad induzione?

Li valuto positivamente, spesso e volentieri li ho utilizzati. In alcune situazioni sono anche meglio di altri piani cottura. In termini di potenza, di resa della cottura sono uno strumento con cui mi trovo bene. Li consiglierei in casa maggiormente rispetto ai fornelli a gas, perchè questi ultimi hanno dei costi totalmente diversi. Del gas che noi consumiamo, solamente il 30/35% ci serve per cucinare.

Nel ruolo di Personal Chef come interpreta i desideri del cliente? Come sceglie il menù e le materie prime?

Amo molto l’attività del Personal Chef. E’ il regista di un evento che è e deve rimanere il numero zero, che deve avere la particolarità di essere studiato nei minimi dettagli per quelle che sono le esigenze del cliente. Alla base c’è la ricerca delle materie prime, e il personal chef è il tramite tra il cliente ed esse. Il Personal Chef guida il cliente attraverso la scoperta dei prodotti locali e nazionali, ma anche delle tecniche che possono essere utilizzate in casa per creare un’atmosfera speciale. Sulla base dello scopo della cena, tra amici o di affari, e della struttura di casa e cucina del cliente, si svolge questo percorso personalizzato, che poterà alla realizzazione di un evento a tutto tondo sagomato sulle esigenze del cliente.

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Come deve essere e cosa non può mancare in una cucina di casa per ospitare un personal chef?

Non vi sono necessità particolari. La cucina del cliente è solamente un fattore che il Personal Chef deve prendere in considerazione per trarne il meglio. Il cliente che vede come nel suo habitat sia riuscito a realizzare delle cose che per lui sono fuori dal comune, può replicare in futuro da solo, e ciò è la parte formativa di questo ruolo.

Quali caratteristiche devono avere un locale, uno chef e il suo team per avere successo?

Per il team sinergia, duttilità e capacità di divertirsi in quello che si fa. Rispetto e lealtà che vengono trasmesse al cliente, in modo che il cliente rispetti il lavoro dei professionisti.

Nella scelta dell’arredamento si affida totalmente ad un designer o fornisce lei le linee guida? 

Quando seguo il progetto in ogni sua parte fornisco le linee guida per allineare ciò che è la cucina con l’arredamento. Dove posso, dò il contributo in un’impostazione di fondo, ma non dobbiamo dimenticare che vi sono i tecnici preposti a questo ed è giusto che facciano la loro parte.

Quanto ha influito la sua terra di origine e la sua formazione accademica e professionale nell’essere chef e nelle varie attività che svolge?

La formazione scolastica e accademica ha influito notevolmente, perchè una certa estensione culturale ti permette di leggere la cucina in un modo diverso rispetto ad una visione tradizionale. Spaziare con la mente ti permette di raggiungere il tuo obiettivo di Chef: nel mio caso la creazione di un menù, basato sulla ricerca della soddisfazione del cliente, per fargli vivere un’esperienza unica ed indimenticabile. La mia regione di origine, la Calabria, ha avuto su di me una grossa influenza soprattutto nel coltivare il mio amore per il cibo. Per me il cibo significa vedere gente felice attorno ad un tavolo, intimità, famiglia, relax, momenti di decisione, affari.

Ha studiato come chef in Italia, ma ha lavorato anche all’estero: come definisce la sua cucina? Quali influenze presenta?

Come Chef sono essenzialmente autodidatta e ho raggiunto tale traguardo con la consapevolezza di voler fare questo tipo di lavoro. Credo sia un ambito nel quale non si smetta mai di imparare. La mia attività di consulenza si svolge spesso all’estero, ed oltre ad essere un’attività di business, mi offre stimoli derivanti dal confronto con altre espressioni culturali. I miei piatti sono la  sintesi di anni di viaggi intorno al mondo, in quanto miscela tra ingredienti non locali e ricette del territorio. In particolare, la mia cucina risente delle esperienze fatte in Spagna, in Asia e in Irlanda.

Un consiglio che le hanno dato in cucina e che ancora segue?

Continuare a fare questo lavoro con la massima passione e la massima attenzione alla tecnica.

Un aneddoto che riguarda la cucina che ancora la fa sorridere?

Mi è capitato di lavorare al catering per diversi eventi, in particolare ricordo una lite sfociata in rissa tra consuoceri alla conclusione della cena di un matrimonio. Io e lo staff eravamo basiti senza sapere cosa fare!

Lavorando all’estero, uno chef riesce a mantenere intatto il suo stile o deve adeguarsi ai gusti locali?

Dal mio punto di vista,  non si deve adeguare, poichè un ristorante italiano all’estero è un ristorante etnico; quando si entra in un ristorante etnico, si entra nel territorio di quella nazione. Se “falsato”, ritengo sia poco corretto nei confronti del cliente. All’estero, non si ha un’idea della cucina italiana in generale,  ma di quella regionale, dal momento che gli emigranti hanno fatto conoscere la propria “cucina di casa”. Credo si debba diffondere una cucina semplice, sempre attenta e di gusto, ma senza particolari varianti.

Il piatto che non mancherá mai nel suo menù?

La coccola, un piatto a base di gamberi, cotti al vapore per una cucina leggera che rispetti le materie prime.

Quanto sono importanti estetica e design nei suoi piatti? 

Tanto quanto la qualità delle materie prime. Dal momento in cui si ragiona sull’importanza del tempo che si passa attorno ad un tavolo, dobbiamo sollecitare non solo il gusto e l’abbondanza. Realizzare un piatto bello esteticamente crea attese a livello chimico e fisico: aumenta la salivazione e aumenta il desiderio. Non appena ci si avvicina ad un piatto, le prime sensazioni che si provano sono di carattere visivo e olfattivo: se un piatto è bello e profumato, crea un’attesa che verrà soddisfatta al momento dell’assaggio.

Qual è l’elemento caratteristico del suo ristorante ideale?

Deve essere un “posto del buon ritrovo”, un posto cioé dove materie prime, accoglienza, servizio e location contribuiscono a creare una senso di piacevole convivialità. Secondo me, quando si decide di andare a cena, si sceglie un posto dove si può avere il massimo in termini di relax psicofisico. Andare a mangiare in un ristorante significa dedicarsi del tempo, quindi il mio locale ideale deve essere in grado di creare questa atmosfera di equilibrio che permetta agli ospiti di staccare la mente dalle beghe quotidiane.

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Il Convito di Curina

Loc. Curina – 53059 Castelnuovo Berardenga (Siena)

www.ilconvitodicurina.it

tel: 0577 355647

email: info@ilconvitodicurina.it

di Silvia Macedonio

Photo Credits: Silvia Macedonio

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