La Locanda del gusto: un ristorante gourmet

Non distante dalle battute spiagge del litorale pontino, appassionati, food lovers e semplici curiosi troveranno una vera oasi del gusto. Ai piedi delle verdi colline di Sezze, verrete piacevolmente accolti da Mario, il proprietario che, da convinto sostenitore della qualità e di una ristorazione “diversa”, ha dato una differente anima alla precedente osteria.

A partire dal primo gennaio di quest’anno, laddove insisteva un ristorante dal taglio più classico con annessa pizzeria, sorge una meta imperdibile per chiunque ricerchi nel piatto creatività e materia prima. Ed infatti, al di sotto della veste della preesistente struttura, pulsa un nuovo e rinvigorito cuore. Dietro un ambiente che sconta – nonostante il rinnovo – una location ancora non ottimale, si cela la convinzione di chi intende portare al di fuori della capitale una cucina capace di rompere gli stereotipi dominanti in quest’angolo della provincia pontina. E così, Mario lascia la cabina di regia a Massimiliano Sena, classe 1979 che, nonostante la giovane età, vanta importanti esperienze presso locali rinomati.

Un progetto indubbiamente ambizioso in una realtà ancora avvezza alle ricette tradizionali, spesso riproposte tout court, senza prestare peculiare cura alla presentazione ed alla scelta degli ingredienti. Un progetto degno di nota, se di ambizioso c’è “solamente” il forte desiderio di trasmettere la cultura del buon mangiare e del buon bere a prezzi contenuti. Ma soprattutto, un sogno in cui non si esita a credere quando negli occhi del proprietario si legge l’appassionata convinzione di far conoscere al grande pubblico ricette creative, nelle quali la qualità delle materie prime si fonde con la maestria ed il pathos dello chef.

Ma a rendere il locale un must per coloro i quali si lasciano guidare dal proprio palato non è solo la buona mano tra i fornelli, ma anche l’occhio vigile di Mario ed il savoir faire di Francesco Vanacore, che orchestra la sala in qualità di maitre e sommelier. A lui si deve, infatti, il merito di sentirsi pienamene accolti, appena oltrepassata la soglia del locale; a lui si deve quel sorriso che ben predispone alla fatidica prova del nove…

Cucine d’Italia, incuriosita dal coraggio e dalla caparbietà di chi si propone come “differente interprete” della ristorazione lontano dalle rotte tradizionali, ha rivolto alcune domande agli artefici dei nostri peccati di gola…

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Massimiliano, quando nasce la tua passione per la cucina?

A 13 anni, ebbi la fortuna di affiancarmi ad una grande chef. Ero il parcheggiatore del ristorante Rossellinis di Ravello e da sempre mi sentivo affascinato, quasi stregato da chi armeggiava tra i fornelli. E fu così che iniziò la mia avventura.

Hai alle spalle esperienze di tutto rispetto…

…beh, ho trascorso tre anni presso il Rossellinis, dove lavorai come sous chef di Michele De Leo, poi entrai nelle cucine di Palazzo Sasso con Pino Lavarra. Tra le altre esperienze formative, ricordo quella presso il Grosvenor House di Londra, con lo chef Adriano Cavaglini e l’affiancamento a Salvatore Tassa.

…Come mai, dopo realtà di questo calibro, hai deciso di proporre le tue ricette in un territorio così “distante” dai precedenti?

Credo fermamente nel progetto del titolare; ritengo che insieme possiamo trasmettere la cultura di una ristorazione non convenzionale, anche lontano dalle note e solite rotte enogastronomiche.

Un primo bilancio di questi primi mesi di attività?

Sicuramente, continuo a proporre abbinamenti ed accostamenti che a me piacciono, ma talvolta mi scontro con quei clienti che, di fronte a piatti innovativi, si sentono spiazzati. Spero di emozionare ogni mio ospite.

Quanto pesa per te la tecnica e quanto la passione tra i fornelli?

70 percento la passione, mentre il restante è tecnica. Oggi, il concetto di tecnica è un po’ ambiguo.

Dunque, cosa intendi per tecnica?

Per me significa capacità di manipolare il sapore di una materia prima importante, giocare con gli ingredienti base per proporre una ricetta che incontri il gusto del cliente e gli regali emozioni. L’aspetto fondamentale sta nel saper equilibrare i sapori e le consistenze.

Il piatto che più senti tuo? Perché?

Capasanta marinata con zenzero, lime, zucchero di canna, glassata con burro chiarificato in zuppetta di latte di cocco, tapioca, caviale osietra, mandorle e limone. È un po’ la sintesi del mio percorso di ricerca e creatività.

Le tue ricette utilizzano almeno una decina di ingredienti. Ritieni di aver in parte subito lo stile di uno o più chef ai quali ti sei affiancato?

Indubbiamente, ho imparato molto da loro, ma credo di riproporre nel piatto la mia vena creativa ed una mia firma. Comunque, la cucina esuberante di De Leo mi ha ispirato parecchio.

I tuoi prossimi obiettivi?

Nell’immediato, mi piacerebbe realizzare un tavolo dello chef, con un numero limitato di posti, al quale poter proporre un lungo percorso degustativo. In un momento successivo, vorrei aprire un locale lungo il nostro litorale, con la stessa proprietà.

Come ti rapporti con il cliente? Cerchi di offrire sempre la tua cucina?

Per me cucinare è una poesia e spesso, se la stessa non è compresa, preferisco incontrare le esigenze della clientela, preparando – se del caso – piatti poco elaborati. Amo lavorare le materie del territorio e reinterpretarle secondo la mia ottica, ma mi rendo conto che un ospite non avvezzo può avere alcune titubanze all’inizio.

Il cliente che viene da te apprezza ed è pronto a sperimentare?

Le persone che mi conoscono, si affidano ciecamente alle mie mani…in cucina. Negli altri casi, invece, mi scontro con una mancata conoscenza della cultura enogastronomica. Ovviamente, continuo in questo mio percorso intrapreso ma non posso mantenere a lungo il locale se l’offerta non è in linea con la domanda…ne sono consapevole.

Le premesse non mancano: qualità, savoir faire, tecnica e passione. Cosa ritieni serva per decollare definitivamente?

Non basta avere le “carte in regola”, ma è indispensabile una collaborazione con i soggetti preposti al rilancio dell’intero territorio. Inoltre, sto valutando la convenienza a partecipare ad eventi o show cooking nella capitale per far conoscere la mia cucina e richiamare la gente qui a Sezze.

Francesco, come si integra il tuo lavoro di maitre e sommelier con lo stile del locale?

Ritengo che per una fattiva operazione di rilancio della zona, sia necessario in primo luogo far conoscere i  vini del territorio, rivalutandone l’immagine. In secondo luogo, è fondamentale ricercare di continuo realtà meno note, non presenti nella GDO, ma di elevato livello qualitativo.

Anche tu puoi vantare importanti esperienze…

Nel 1990, ho iniziato a lavorare a Vico Equense, poi mi sono spostato al Tombolo Talasso Resort, a Marina di Castagneto Carducci, dove ho lavorato fino al 2013. L’approssimarsi della scadenza del contratto ed il desiderio di vicinanza alla mia famiglia mi hanno portato ad accettare la proposta di Mario.

Riesci a guidare il cliente nella scelta dei vini?

Una fascia di clientela, abituata a bere da sempre le solite bottiglie, è poco aperta a suggerimenti; un’altra, invece, è più pronta a sperimentare nuove etichette.

La carta dei vini ha anche un giusto rincaro…

Sì, il mio obiettivo è quello di far provare belle etichette, anche costose, a tutti, con interessanti proposte al calice. Inoltre, sono riuscito a smaltire giacenze della precedente gestione e ciò mi permette di concentrarmi maggiormente sulla continua selezione. Abbiamo oltre 200 etichette in carta.

Tu e Massimiliano siete originari di Vico Equense. Vi conoscevate? Come vi trovate a lavorare insieme?

Non ci conoscevamo. Mi trovo molto bene con Massimiliano; credo di continuare in sala il suo lavoro in cucina, prendendomi cura del servizio, del cliente e della mise en place.

Mantenute le promesse – e premesse – iniziali, con un percorso degustativo, in cui si legge un’impronta comunque mediterranea nella scelta delle materie prime, valorizzate dalla tecnica e dall’animo di chi firma ogni preparazione col desiderio di emozionare. Un’esperienza alla quale ha fatto da cornice, incastonandola, un’accurata selezione di etichette proposta da Francesco, che è riuscito ad esaltare gli intriganti abbinamenti dello chef.

Ed infine, un suggerimento a chiunque, incuriosito dalla mission della Locanda del Gusto, abbia deciso di sperimentare la cucina a tratti esuberante di Massimiliano…II piatto da non mancare: spigola marinata con fava tonka, cotta sulla sua pelle, con tataki di melanzana, adagiata su una fonduta di provola, guarnita con chips di patate viola e olio al basilico. Un ben riuscito richiamo di sapori, gioco di consistenze e sapidità. Ed una presentazione cromatica di tutto rispetto…quando mangiare anche con gli occhi è un piacere!

Photo credits

Manuela Mancino

 

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