Masseria Brancati: c’è pace (e non solo) tra gli ulivi monumentali di Ostuni

Se potessero parlare sarebbero un perfetto narratore delle lunghe vicissitudini di questa terra. Se potessero muoversi, accompagnerebbero il visitatore alla scoperta di un’articolata storia. Ma, fortemente ancorati al suolo, si lasciano ammirare in tutta la loro imponenza. Attraversato il tipico muretto a secco della Masseria Brancati, centinaia di ulivi millenari salutano chi, per amore, riverenza o semplice curiosità, abbia deciso di “recare visita” ai testimoni di un territorio antichissimo.

A metà strada tra Ostuni ed il mare, trenta ettari di oliveto monumentale incorniciano la masseria del 1500 che, con il suo candido colore, spicca tra il verde degli ulivi ed il rosso del terreno. Quest’oasi dell’entroterra pugliese custodisce gelosamente un patrimonio senza pari: è qui, infatti, che trovano dimora mille delle centinaia di migliaia di olivi millenari della regione, di cui 800 censiti come monumento nazionale. È qui che resiste al logorio del tempo uno dei paesaggi rurali più antichi del Mediterraneo e dove Corrado Rodio, il titolare, si prende cura di quest’oliveto monumentale. Per esser definito come tale, è necessario vi sia almeno il sessanta percento di piante che, a 130 centimetri dal suolo, abbiano un diametro del tronco pari o superiore ad un metro, presentino un portamento particolare e vantino un valore storico-antropologico accertato per citazione diretta, per rappresentazione iconografica o documenti storici.

A confermare le lontane origini del sito vi è una serie di libri che parlano di un frantoio ipogeo e strutture epigee del X e XI secolo, nonché lo stesso Columella il quale, nei suoi scritti, accennava ad una piana al Nord dell’attuale Brindisi, ove si coltivava la “salentina”, oggi riconducibile all’autoctona ogliarola del Salento.

Scolpiti dalle ere attraversate e dalle forme quasi disegnate dalla mano di madre Natura, tali alberi sono indubbiamente testimoni dei trascorsi di questo lembo di Puglia e custodi della Masseria. La Famiglia Brancati, di origine veneta, vi giunse infatti solo nel Quattrocento, mossa dal desiderio di ricavare, proprio da quegli ulivi, un oro verde da commercializzare con i porti di Venezia e Genova. Artefici di lavori di ampliamento della struttura nel corso del XV secolo, vi costruirono mura di fortificazione – tutt’ora visibili nel loro camminamento – che lasciano supporre il pericolo costante rappresentato dal vicino Adriatico, dove approdavano popoli d’Oriente con l’ardore della conquista. Ma forse, il loro ardore si spegneva o si assopiva di fronte ad alberi capaci di combattere le sfide lanciate dalle avversità climatiche (e non solo): con i loro mammelloni, tessuti ricchi di acqua da cui nasceranno futuri germogli, lottano contro la naturale degenerazione del tronco. E guadagnano, dunque, l’appellativo di “simbolo di eternità”; appellativo che, perdendosi nella storia e confondendosi con la mitologia, rievoca la dea Atena e attribuisce alla stessa la creazione dell’olivo quale emblema d’immortalità.

ulivo dentro

interno di un ulivo monumentale

Pare non esistano alternative per designare una pianta che, per naturale vocazione, dona le olive anche quando in fin di vita, quasi intenda lasciare all’uomo pegno e prova di fedeltà, oppure un modesto insegnamento di altruismo. Un insegnamento che riecheggia nella magica atmosfera di questo museo a cielo aperto, ove la piana olivetata fa mostra dei propri “reperti”, delle proprie opere, figlie di quell’artista immortale che è la Natura.

Camminare tra le chiome cangianti è un’esperienza unica, una passeggiata che si tramuta in un viaggio tra i secoli, durante il quale è facile perdere la cognizione del tempo, immaginando e quasi fantasticando bizzarre immagini create dai tronchi consunti dalla vita “vissuta”. Eppure restano con le loro radici ben ancorate a foggia di un ponte tra cielo e terra ad ispirare, anche nel visitatore più scettico, una sensazione di eternità. Si è, invece, invasi da un sentimento di stupore misto a rispetto di fronte i due esemplari più rappresentativi dell’intera Masseria, che giustificano il marchio riconosciuto dall’Ente Parco a quest’unicum di rara bellezza, piena espressione del pregio ambientale. È infatti qui che la Natura sembra aver dato libero sfogo alla sua vena creativa – a volte stravagante – per regalare veri e  propri capolavori, in cui la sinuosità delle forme si fonde armonicamente con l’eccezionalità delle dimensioni ovvero con la longevità della pianta.

Come ogni capolavoro che si rispetti, questi alberi sono noti agli appassionati e studiosi con il loro alias che svela un senso di dovuta riverenza, mista ad una dosata ironia ispirata dalle peculiarità degli stessi esemplari. Ecco allora nomi come “Capanna”, per designare un olivo di duemila anni presumibilmente coltivato dagli antichi romani con una circonferenza alla base di oltre dieci metri, ed il “Grande vecchio”, con oltre tremila anni “sulle spalle” e, pertanto, già presente durante l’epoca messapica. Esemplare unico, spettacolare, che ha resistito al peso della veneranda età, avvolgendosi e curvandosi su se stesso a mo’ di spirale e assumendo la forma di una elle rovesciata.

ulivo secolare vecchio

Ulivo detto il “Grande Vecchio”

Inenarrabile l’emozione suscitata da questo ulivo, capace di dar sfoggio di sé e del suo portamento con una disinvoltura e con una modestia da far rabbrividire anche il meno altezzoso degli esseri umani. Immobile se ne sta questo manuale di storia, pronto ad essere consultato per decifrare ogni nodo e torsione del tronco, ogni venatura delle foglie per ricavare indizi su miti e leggende o su vicende più o meno note delle ere dimenticate. Racconti che continuano nel presente grazie alla passione di Corrado il quale, mosso dall’amore per questi ulivi, si è dedicato per primo, in Puglia, alla produzione di un olio extravergine tracciato e certificato, ottenuto da piante censite di ogliarola salentina. Se ne ricava un monocultivar che abbina all’elevato profilo qualitativo la ricchezza storico-antropologica…degustarlo significa pertanto “bere” la storia e sentirsene partecipi.

E così, abbandonarsi al sacro dell’oro verde e al profano degli accoglienti ambienti della Masseria Brancati diventa un idillio indelebile nella propria memoria e nel proprio animo.

Photo Credits

Manuela Mancino

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