Prosciutto di Parma: ambasciatore di un terroir

Il cuore del prosciutto di Parma pulsa in quel lembo della provincia delimitato tra le Valli del Taro e dell’Enza, laddove le dolci colline custodiscono i segreti del Re dei Prosciutti. È qui che l’aria perde il suo salmastro ed eredita quel patrimonio indispensabile per la stagionatura; è qui che spira il Marino, il vento proveniente dal mare, gradito ospite dei prosciuttifici della zona che aprono le finestre ad ogni suo soffio o sospiro. Il regno di uno dei protagonisti della storia enogastronomica italiana ingloba i comuni di Calestano, Collecchio, Corniglio, Felino, Langhirano, Lesignano de’ Bagni, Montechiarugolo, Neviano degli Arduini, Sala Baganza, Tizzano Val di Parma, Traversetolo, Varano de’ Melegari.

Una porzione ben ristretta della provincia dove i vigneti si alternano a sommità collinari e castelli, le trattorie alle cantine e ai prosciuttifici, per regalare un itinerario all’insegna del gusto, ma condito da storia, antiche tradizioni e sapori. E così, cedere ad una fetta di Parma non significa semplicemente abbandonarsi al vizio capitale della gola, ma comprendere il valore intrinseco dei gesti, della ritualità delle fasi di lavorazione, del terroir di cui si fa ambasciatore. È con la finalità di diffondere questo unicum che nasce il Festival dedicato al Prosciutto, giunto quest’anno alla XVII edizione, in programma dal 5 al 21 settembre, con una fitta trama di iniziative ed eventi a tessere l’ordito di una piacevole esperienza. Degustazioni guidate, incontri e spettacoli culturali renderanno onore all’ambasciatore del Made in Italy nel mondo, grazie al coinvolgimento di 150 aziende e 13 comuni rientranti nella DOP.

Ed infatti, per tutelare le origini di questo prezioso alimento, nasce nel 1963 il Consorzio, impegnato altresì nella salvaguardia del metodo tradizionale di lavorazione: dalla materia prima alla stagionatura, ogni singolo gesto contribuisce a nobilitare un mestiere che si tramanda di generazione in generazione. Solo un occhio attento, avvezzo all’arte della norcineria assicura il rispetto dei giusti tempi, senza accelerare un percorso fatto di tappe ben definite che conducono a quell’inconfondibile “dolcezza”. Un lungo ciclo che parte dalla materia prima, da disciplinare un maiale allevato in dieci regioni del Centro-Nord e rigorosamente di razza Largewhite, Landrace e Duroc, alimentato con grano, orzo e siero derivante dalla produzione del Parmigiano. Carni mature e sode di un animale di almeno 9 mesi e 160 kg (comunque non inferiore a 144), dal quale isolare la coscia, fatta riposare 24 ore in celle refrigerate che facilitano il rassodamento ed agevolano la rifilatura. Quest’ultima, consistendo nell’eliminazione di cotenna e parti grasse, conferisce la classica forma di “fuso” e favorisce la successiva salagione, operazione da eseguirsi su cosce a temperatura uniforme con sale umido ed asciutto in quantità che solo mani aduse a questo lavoro sanno dosare.

Dopo una settimana in una cella di “primo sale” (alla temperatura di 1-4 gradi e umidità dell’80%) e ripulita del sale residuo, la coscia viene sottoposta ad una breve passata di sale per poi essere avviata al “secondo sale”, ove resta dai 15 ai 18 giorni. Eliminato il sale residuo, per un periodo variabile tra i 60 e gli 80 giorni, la coscia staziona in celle dette di “riposo” con umidità del 75% (a temperatura di 1-5 gradi) e con un ricambio d’aria, condizioni ottimali per permettere al sale di penetrare in profondità, distribuendosi all’interno della massa muscolare.

Al termine, subito un lavaggio in acqua tiepida per eliminare cristalli in eccesso ed eventuali impurità, la coscia viene asciugata affidandosi al clima nelle giornate secche e ventilate, oppure agli asciugatoi, in caso di avverse condizioni. Appesi alle tradizionali scalere, i prosciutti si asciugano lentamente in stanzoni con finestre contrapposte, aperte a seconda dell’umidità interna, per permettere un graduale e costante asciugamento. Si passa alla sugnatura, con l’obiettivo di ricoprire la parte muscolare scoperta ed assicurare rimanga un adeguato grado di umidità della carne. In questo passaggio, è cruciale l’occhio attento di chi da anni ripete gesti di un’antica arte, sia individuando il giusto mix della sugna – un impasto a base di grasso di maiale macinato, sale, pepe e talvolta farina di riso – sia massaggiando con maestria e leggiadria ciascuna coscia.

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Dal settimo mese, i prosciutti riposano nelle cantine accarezzati da quel microclima, che costituisce uno dei fattori determinanti del caratteristico profumo e sapore del Parma. Ultimata la stagionatura, i prosciutti vengono sottoposti all’esame da parte del Consorzio: un esperto sonderà la coscia con l’ago di osso di cavallo – apprezzato per la sua capacità di veicolare gli odori e perdere rapidamente gli aromi acquisiti – per verificare la sussistenza delle sfumature gusto-olfattive imposte dal disciplinare. Dopo un minimo di dodici mesi, gli Ispettori dell’Istituto Parma Qualità appongono il marchio a fuoco, la nota Corona a cinque punte, che garantisce l’avvenuto controllo in ogni fase e riporta il codice di tutte le aziende coinvolte nella filiera produttiva.

Il riconoscimento legale del Consorzio fa sì che la marchiatura abbia la stessa valenza del contrassegno di Stato: inconfondibile pertanto quella Corona ducale impressa a fuoco, a sigillo di un rigoroso iter nel quale la mano dell’uomo si fonde armonicamente con la natura, per regalare una creazione che definire “prodotto” appare riduttivo. Materie prime di alta qualità, gestualità scandite dai tempi imposti dalla Natura, mani avvezze a questo mestiere, occhi ed olfatto allenati a riconoscere la tipica dolcezza. E poi, lui, il Marino, quel vento delle colline parmensi che profuma di pinete della Versilia, si carica delle sfumature carsiche della Cisa, perde la nota salmastra strofinandosi sui castagneti…un’aria asciutta per una stagionatura inusuale.

Meritato, dunque, l’appellativo di Re dei Prosciutti, cui si fa riferimento rivolgendosi al Parma, quasi in una sorta di devozione verso il custode di segreti tramandati nei secoli o di ricette che si perdono negli anni. Narra dei Romani, soliti conservare le carni ricorrendo a salatura, asciugatura e massaggi con olio (lavorazione che rivela l’assonanza con quella del Parma); dei Galli, esperti nel trattare carni suine; dei Longobardi, grandi consumatori di maiali selvatici. Origini che si confondono con il susseguirsi, in questo angolo della provincia, di dominazioni e dei rispettivi usi e consuetudini, per poi diffondersi Oltralpe (nell’Ottocento, il prosciutto parmigiano era l’ambito “compagno” dei conviviali pasti parigini) e nel piccolo (grande) mondo dei compositori italiani. Che Rossini e Verdi ne fossero grandi estimatori è documentato dai menù dell’epoca; che trovassero in “lui” fonte di ispirazione resta il classico nodo da sciogliere.

Di certo, però, solo una grande cura consente di portare in tavola un alimento privo di additivi e conservanti: passione e rispetto dei ritmi naturali sono alla base di consolidati costumi e tradizioni, così sentiti e vivi nella popolazione locale da divenire parte integrante del proprio essere, un elemento irrinunciabile della quotidianità e un’occasione per riunirsi. A testimoniarlo, non solo la “festa” dedicata al Parma, ma anche le iniziative collaterali che coinvolgono alcuni paesi della provincia, per accompagnare tanto gli abitanti quanto gli avventori tra le meraviglie del territorio. Nascono da questa finalità il “Prosciutto in vigna” (visite guidate presso le cantine aderenti), “Finestre Aperte” (tour e degustazioni nei prosciuttifici) e menù ispirati ai prodotti tipici della zona, proposti dai 50 ristoranti del circuito.

Novità di questa edizione, un “Panino da Re”, che impegna foodblogger e blasonati chef in creativi e gustosi “companatici”, aventi come protagonista l’amato e famoso Prosciutto.

Va allora inquadrato in una prospettiva di più ampio respiro il filo conduttore dell’intera manifestazione, che non cammina a senso unico verso il “puro” traguardo di scoperta (e, in taluni casi ri-scoperta) delle eccellenze enogastronomiche, ma si apre al desiderio di valorizzare il patrimonio paesaggistico, culturale e storico di questo lembo d’Italia.

Ed allora, per conoscere da vicino le aziende visitate lungo la strada del Prosciutto e dei Vini dei Colli di Parma, continuate a seguire le nostre rubriche.

Photo credits

Manuela Mancino

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