Una semplice bottiglia d’acqua può riversare 370 mila micro e nanoplastiche nel cuore e nel cervello

DA UN NUOVO STUDIO EMERGE LA PERICOLOSITÀ DELLE NANOPLASTICHE DI PENETRARE NEI TESSUTI CELLULARI CON EVIDENTI E POTENZIALI CONSEGUENZE PER L’ORGANISMO UMANO.

Il basso costo, la versatilità e la resistenza alla degradazione hanno contribuito a una produzione massiva e capillare della plastica con largo impiego nei più svariati settori, sin dagli anni ’50, causando una vera emergenza ecologica con evidenti e potenziali rischi per la salute umana. La criticità della situazione ha portato l’ONU e le comunità scientifiche ad analizzare la contaminazione da polimeri all’interno di un bene primario come l’acqua.

Uno studio statunitense, analizzando 3 noti marchi di acqua, ha riscontrato la presenza dalle 110.000 alle 370.000 micro e nanoparticelle di plastica all’interno delle bottiglie di un litro, con una media di 240.000 polimeri. Frammenti invisibili che secondo i ricercatori si possono infiltrare nei tessuti per poi passare nel sangue e migrare ovunque nell’organismo umano, rilasciando stostanze chimiche tossiche in tutto il corpo. 

LA PRODUZIONE MONDIALE DI PLASTICA SFIORA I 400 MILIONI DI TONNELLATE L’ANNO, DI QUESTI PIÙ DI 30 MILIONI FINISCONO NELLE ACQUE O RILASCIATA SUL TERRITORIO, IL 49% È COSTITUITO DA PLASTICHE MONOUSO.

Lo studio della Columbia University

Sino a oggi gli studi condotti avevano già individuato la presenza di nanoparticelle all’interno delle bottiglie di plastica, senza però riuscire ad analizzarne la struttura, né il numero esatto, a causa della mancanza di efficaci tecniche analitiche, dovute alla loro dimensione estremamente ridotta. Si pensi che le microplastiche misurano tra 5 mm e 1 nanometro, mentre le nanoplastiche arrivano da 1 fino a 1000 nanometri; per capire meglio, una nanoparticella corrisponde a un millesimo dello spessore medio di un capello umano, talmente piccola da non essere rilevata da un convenzionale microscopio.

Gli scienziati statunitensi, con a guida la Columbia University, hanno messo a punto una sofisticata tecnologia con potenti sistemi di rilevamento facendo luce sull’inquinamento da plastica a livello nanometrico con una sensibilità e specificità mai raggiunti prima. Grazie alla tecnica dell’imaging iperspettrale i ricercatori sono riusciti a ottenere, in tempo reale, informazioni chimico-fisiche qualitative e quantitative in modo preciso e affidabile.

Per lo studio sono stati presi in esame tre brand di acqua, di cui non sono stati resi noti i nomi per motivi legati alla ricerca stessa. Comunque, Naixin Qian, il principale autore dello studio, ha dichiarato che le bottiglie analizzate erano di comuni marchi facilmente reperibili in commercio nei supermercati.

Nell’acqua analizzata si è riscontrata la presenza dalle 110.000 alle 370.000 micro e nanoparticelle di plastica per litro, di cui il 90% è rappresentato da nanoplastiche provenienti dalla bottiglia stessa, dal tappo e paradossalmente dal filtro della membrana a osmosi inversa, impiegato nei depuratori per eliminare determinati contaminati dell’acqua prima dell’imbottigliamento. Numeri da 10 a 100 volte superiore alle stime precedenti. 

Gli scenziati hanno individuato 7 tipologie di plastiche, delle 105 presenti nella bottiglia, tra cui poliammide, impiegato nei filtri depuranti, polipropilene, polietilene, polimetilmetacrilato, cloruro di polivinile, polistirene e polietilene tereftalato (PET). 

Purtroppo, questi polimeri rappresentano solo il 10% delle particelle rilevate, del restante 90% si ignora la natura.

Si comprende la complessità della ricerca se si pensa alla eterogeneità della combinazione di sostanze chimiche all’interno di un polimero, tra cui gli additivi e coloranti. Secondo uno studio condotto da Scott Coffin, scienziato presso il California State Water Resource Control Board, sono oltre 10.000 le sostanze chimiche impiegate nella produzione della plastica, di cui oltre 2.400 considerate pericolose per la loro tossicità o perché si accumulano e permangono nell’organismo umano. Purtroppo, in diversi paesi queste sostanze non sono sufficientemente regolamentate.

Rapporto ONU sull’acqua imbottigliata

Secondo l’ultimo rapporto stilato dall’Institute for Water, Environment and Health, braccio accademico dell’ONU creato nel 1996, solo la produzione annua di bottiglie di plastica tocca i 600 miliardi, pari a circa 25 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Inoltre, lo studio registra, nel decennio 2010-2020, una vertiginosa crescita dell’acqua imbottigliata pari al 73% e prevede un radoppio delle vendite entro il 2030, passando dagli attuali 270 miliardi di dollari a 500 miliardi di dollari.

Sempre IWEH ha analizzato centinaia di marchi di acqua in bottiglia di oltre 40 Paesi riscontrando una forte contaminazione organica, inorganica e microbiologica. Secondo uno dei ricercatori, Bouhlel, questi risultati confermano come sia fuorviante la percezione che l’acqua in bottiglia sia una fonte di acqua potabile indiscutibilmente sicura. 

L’Italia secondo consumatore mondiale

L’Italia si colloca al secondo posto a livello mondiale per consumo di acqua imbottigliata con 208 litri annui pro capite, superata solo dal Messico con 244 litri.

Ogni giorno, sempre in Italia, vengono acquistati oltre 30 milioni di bottiglie di plastica e 7 milioni di bottiglie di vetro. Questo si traduce in oltre 13 miliardi di rifiuti di plastica in bottiglie prodotti ogni anno nel nostro Paese.

LE NANOPLASTICHE ATTRAVERSANO LE BARRIERE BIOLOGICHE ED ENTRANO NEI SISTEMI VITALI 

Pericolo per l’uomo

I ricercatori hanno dimostrato che le nanoplastiche, a differenza delle microplastiche, possono attraversare le barriere biologiche ed entrare nell’organismo alterandolo o danneggiandolo o anche sedimantandosi al suo interno con conseguenze ancora in fase di studio.

Comunque, i rischi per la salute, finora documentati, possono essere di natura fisica, chimica o microbiologica.

I rischi fisici sono associati alle dimensioni ridotte delle nanoplastiche, che possono essere inalate, ingerite comportando gravi conseguenze per gli apparati respiratori e digestivi. Inoltre, le nanoparticelle hanno la capacità di superare le barriere biologiche e insinuarsi all’interno del corpo umano: intestino, reni, fegato, cervello, cuore, testicoli e persino nella placenta. La professoressa associata di farmacologia e tossicologia alla Ernest Mario School of Pharmacy della Rutgers University a Piscataway, nel New Jersey, Phoebe Stapleton, ha condotto test su topi in gravidanza, scoprendo che dopo sole 24 ore dall’ingestione o dall’inalazione di particelle di plastica, si riscontravano tracce all’interno dei reni, polmoni, fegato, cuore e cervello del feto.

I rischi chimici derivano dalla presenza di numerose sostanze chimiche quali gli additivi, tra cui gli ftalati, bisfenolo A, i coloranti e i contaminanti organici persistenti (ritardanti di fiamma bromurati, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili). Alcune di queste sostanze, ad esempio gli ftalati, sono degli interferenti ormonali, compromettono il sistema endocrino, la sfera riproduttiva e il metabolismo.

I rischi microbiologici derivano dal fatto che i polimeri plastici sono materiali porosi, quindi potenzialmente vettori di microrganismi presenti sulla loro superficie in grado di trasmettere malattie.

SECONDO L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ CAUSANO STRESS OSSIDATIVO, PROBLEMI METABOLICI, PROCESSI INFIAMMATORI E DANNI AI SISTEMI IMMUNITARIO E NEUROLOGICO.

Le micro e nanoplastiche si depositano o vengono espulse?

Attualmente le informazioni sulla persistenza del polimero plastico all’interno del nostro corpo sono insufficienti. Finora, gli studi si sono concentrati solo sull’assorbimento e la distribuzione, lasciando una significativa lacuna su eventuali processi di trasformazione metabolici, di eliminazione o di stagnamento con conseguente accumulo all’interno dell’organismo e di eventuali rischi di ostruzione.

Una semplice bottiglia d’acqua può riversare 370 mila micro e nanoplastiche nel cuore e nel cervello

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