Azienda agricola Ione Zobbi: quando l’extravergine diventa una filosofia di vita

Canino, cuore della Tuscia e culla dell’olio. E come ogni culla, pare custodire tra le fasce i numerosi oliveti che conquistano i visitatori con il verde argenteo della bella chioma. È proprio in quest’angolo della provincia di Viterbo, quasi mimetizzato dalle piante di ulivo, che sorge il frantoio Ione Zobbi.

Storia di un amore a prima vista con questo territoir quella di Paolo Borzatta e della compagna Ione Zobbi che, catturati dalla magia del paesaggio caninese, decisero d’investire in quest’ultimo lembo di paradiso. Ma investire ha sempre significato per loro valorizzare il potenziale qualitativo dei piccoli olivi sparsi vicino l’abitazione, per preservare i territori di origine. Così, figli di questo sogno, nascono gli undici monocultivar dell’azienda, a testimoniare come i sogni, talvolta, possono diventare realtà. O meglio, lo diventano se ad inseguirli c’è la passione di chi ha saputo fare del proprio credo una mission ed una strategia aziendale.

Diciannove ettari, otto uliveti, sei cultivar…questi i numeri da far quadrare con i comuni di provenienza delle olive – Canino, Tessena, Arlena di Castro, Sonnino – per un risultato a “prova di nove”. Ed infatti, i riconoscimenti ottenuti nel corso degli anni confermano l’alto profilo qualitativo di ogni etichetta e costituiscono l’equa contropartita della cura maniacale con cui si segue la produzione, ma anche di un approccio innovativo al mondo dell’olio.

Quando ancora l’universo dell’enogastronomia si disinteressava del protagonista della dieta mediterranea, a casa Borzatta si parlava di “varietà e variabilità dell’olio di oliva in purezza”. Pioniere di una mentalità di là da venire, continua allora in questo suo percorso volto a replicare il concetto di cru, oramai scontato per gli amici enologi, all’extravergine. Nascono così la tavolozza degli olii – una sorta di vademecum di abbinamento cibo-olio – l’intenso lavoro di tracciabilità degli uliveti aziendali e, soprattutto, le continue sperimentazioni, non ultima la “trasversale” dello scorso 10 maggio, realizzata in collaborazione con Marco Stabile, chef patron del ristorante l’Ora d’aria di Firenze (1 stella Michelin). Una giornata che, iniziata con un focus sulle tecniche di degustazione, culmina in un vero e proprio pranzo-laboratorio, durante il quale le preparazioni vengono appositamente pensate per testare i risvolti visivi e gusto-olfattivi degli olii su ciascuna portata.

Incuriosisce, di certo, l’idea di trasformare un’occasione conviviale in una “fucina” di esperimenti, nella quale coesistono clima amichevole e interessanti confronti sulle numerose prove d’interazione tra olio e piatti. Colpiscono, inoltre, i risultati ottenuti a seguito della degustazione con cinque monovarietali dell’azienda: Grand Cru Gioacchina (leccino), Grand Cru Capoterzo (Caninese); Grand Cru Gioacchina (Caninese); Cru Poggio Orzale (maurino) Grand Cru Sonnino (itrana).

Quanto all’analisi, merita soffermarsi sulle due preparazioni che hanno fatto emergere appieno il concetto di variabilità dell’olio e la sua importanza anche in cottura. La prima – patate, terra e olio extravergine – è quella che ha registrato le più significative differenze: la maurino si configura essere il migliore abbinamento in termini di gradevolezza, mentre la caninese Grand Cru Gioacchina esalta la trama amarognola che la connota. Il Grand Cru Capoterzo, infine, riscuote il più basso apprezzamento. Le due caninesi e la maurino si contraddistinguono per persistenza gusto-olfattiva.

Il secondo piatto – coniglio sott’olio (un lembo di coniglio in olio cottura a 60° C, sottovuoto, per trenta minuti) – ha evidenziato, invece, l’impatto anche sul cromatismo e sulla presentazione. Più nello specifico, la maurino sembra connotare con maggiore imprinting la preparazione, mentre l’itrana sembra apportare contributi in termini di aromaticità, intensità e persistenza.

A seguito dell’indagine condotta, se da un lato molti interrogativi trovano una soluzione, dall’altro nuove questioni paiono sollevarsi. Ed infatti, al di là dell’ipotizzata e già testata rilevanza dell’abbinamento cibo-olio, sembra venga smentita l’esistenza di un olio ottimale per ciascun piatto…tutto dipende, dunque, dalla caratteristica che lo chef intende esaltare o dalla suggestione gusto-olfattiva che punta a creare.

Sotto altro profilo, colpisce l’impatto delle condizioni pedoclimatiche sulle sfumature aromatiche che ogni  varietà assume, al variare della zona di coltivazione.

Al termine della giornata, pare intravedersi un primo spiraglio di luce in un mondo ancora inesplorato… la lungimiranza e la determinazione di chi continua ad inseguire un sogno possono regalare nuove strumenti per meglio apprezzare la “caratura” dell’oro verde.

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Manuela Mancino

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