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“In cucina si lavora il cibo e quindi era giusto celebrare il cibo attraverso la cappa…”

Architetto, designer, sperimentatore di linguaggi. Spezino di origine e di formazione veneziana, ha abitato in molte città: Padova, Venezia, Londra, Helsinki, Parigi, e 1980 vive e lavora a New York da dove continua a sfidare il convenzionale, in pittura, scultura, architettura… Parliamo di Gaetano Pesce.

La sua opera multidisciplinare è nelle collezioni permanenti dei maggiori musei. Come un pioniere del design ha sperimentato nuovi materiali, diventando leader del cosiddeto Radical Design, una tendenza teorizzata in scritti e divulgata nel 1972 in una celebre mostra al MoMA, “Italy: The New Domestic Landscape”, a cui hanno fatto seguito altre importanti esposizioni, in tutto il mondo. Dalla sua personalissima ricerca sono nati una serie di oggetti per la via quotidiana come lampade, oggetti, arredi non convenzionali nel campo dell’industrial design, ma con una nota di estro che solo un arista come lui poteva dare.

La Cappapesce di Gaetano Pesce venne presentata al Salone del Mobile del 2010: realizzata per Elica è stata concepita per un arredo cucina fuori dal comune. Per Pesce c’è da dire che gli oggetti che hanno segnato il suo percorso professionale sono anche quelli nel quale si identifica da trent’anni uno stile unico nel design, nella progettazione architettonica, nella creazione di accessori personal. Il suo lavoro spazia continuamente alla ricerca di forme e materiali che sappiano comunicare concretezza, perché, come lui stesso precisa, “con l’astrazione non si può comunicare”. I colori richiamano quelli delle Cinque Terre ed è come se l’oggetto sprigionasse quella carica tipica della tradizione enogastronomica Ligure: fatta di calore, di un mix di elementi e di tanta estrosità che la fanno diventare unica nel suo genere e non definibile in un solo termine.

Photocredit : http://abitare.virgilio.it/search/what/Cucina
Photocredit : http://abitare.virgilio.it/search/what/Cucina

Una concretezza pur sempre originale di cui il pubblico coglie immediatamente il valore.
Per Pesce la bellezza di un oggetto è nel suo essere unico e, in un mondo standardizzato, la possibilità di realizzare un prodotto connotato da elementi personali diventa indispensabile per affermare un concetto di individualità spesso sacrificato. Il valore di ciò che è diverso, nell’epoca della globalizzazione che tende ad uniformare tutto, torna ad affermarsi nell’individualità di un progetto – a maggior ragione se esso è destinato a funzioni seriali come possono essere quelle per la cucina –.

“Per la produzione industriale è finita l’epoca delle copie tutte uguali e siamo entrati nell’epoca dei pezzi unici, che si possono ottenere anche con una sofisticata produzione seriale”.

La Cappapesce, nella sua singolare “stranezza” può considerarsi come il manifesto più esplicito di questo pensiero innovativo che Pesce ci evidenzia in una sua recente intervista a Giorgio Tartaro.

Mariangela Martellotta

 

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