Raffo: l’evoluzione della tarantinità in una bottiglia di birra

La Birra Raffo non è una semplice birra ma uno “stile di vita”, un “pezzo di storia”, un brand della tarantinità che risuona in una frase, “C’u core rossoblù bevime Birra Raffo e nnijénde cchiù!”, slogan in dialetto tarantino, che coinvolge un’intera città, una figura retorica onomatopeica poiché in rima che non si dimentica. Il design della bottiglia che negli anni si è adattato alle necessità del mercato e alla produzione seriale del packaging, le etichette ed il tappo su cui i loghi sono diventati sempre più espliciti e rappresentativi di un’identità, insomma una birra che si è evoluta con successo e classe!

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Nata nel 1919 per iniziativa di Vitantonio Raffo in una piccola fabbrica al centro di Taranto si distinse subito per il sapore moderatamente amaro, l’attaccamento dei tarantini alla propria terra e l’accessibilità del prodotto che contribuirono a a stabilire il monopolio nella regione pugliese. 

“Birra Raffo-Taranto”, con questa scritta in rilievo venivano identificate le prime bottiglie da 900 e 350 cl con cui veniva commercializzata al dettaglio. Per gli spacci della città il formato era decisamente più grande, scorte di birra conservate in barili di rovere da 20 litri.

Dopo una breve parentesi di monopolio inglese la produzione riprende nel 1946 sotto la gestione dei fratelli Nicola e Domenico raffo. Inizia così un periodo di crescita ed espansione e la Raffo supera i confini regionali e inizia ad essere distribuita anche in Calabria e Basilicata. 

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Nel 1961 il marchio viene acquistato da Peroni che intanto (fondata nel 1846 a Vigevano) che aveva aperto nuovi stabilimenti a Bari e Napoli diventando leader di mercato. Nel 1987 chiude anche la fabbrica tarantina della Raffo e tutta la produzione viene assorbita dalla sede Peroni di Bari, mentre etichetta, bottiglia, nome e ricetta rimangono inalterati. Senza che questo allenti il legame tra la birra e la sua città di origine, la Raffo inizia da qui a essere distribuita  in modo strutturato ma non massiccio anche in Basilicata e in Campania.

La comunicazione organizzata per il cambiamento del packaging  ha perseguito lo scopo di mantenere l’identità della Birra: si è trattato di pianificare una vera e propria “campagna elettorale” per promuovere il brand ed assicurare inoltre il packaging ed i testimonial delle  campagne pubblicitarie e degli eventi, sempre riconducibili alla realtà locale.

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La Raffo finisce per essere la “birra della nostalgia del tarantino espatriato” vista anche per l’irreperibilità del prodotto nella maggior parte del territorio italiano, qualcosa di più di una bevanda; in particolare per i Tarantini che vivono fuori da Taranto, è un legame con la propria città, un legame che essi esprimono in molte forme che nell’era dei social vanno dai blog, ai forum, fino alle fan-page  in cui veicolano la loro lontananza dalla città (e dalla provincia tarantina)  con il legame a qualcosa di materiale.

Visual, logotipo e packaging, sono l’espressione dei tarantini e della tarantinità e definiscono esattamente l’attaccamento dei Tarantini al prodotto. Nell’etichetta, tre sono gli elementi che col tempo si sono evoluti per rafforzare la percezione di tutto quanto questo:

  • raffo0sotto lo stemma di Taras collocato sotto il logo Raffo
  • la dicitura “Taranto. La birra dei due mari” intorno al marchio 
  • i colori rosso e blu del Taranto di etichetta e lattina che stanno a simboleggiare il rosso del sole e il blu del mare, colori della stessa squadra della città che ha dato i natali alla Birra

Per Raffo quindi rinnovare l’etichetta significa collocare la strategia di marketing sul versante opposto rispetto a quello di altri prodotti che mira(va)no all’internazionalizzazione cioè consolidare sempre più distintamente il legame tra la birra e la Città dei due Mari.

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Individuata in questo legame la ragione del monopolio, è necessario rafforzare il contatto sul  mercato regionale, e su scala nazionale configurare la “La cascia di Raffo” (la cassa di birra Raffo) come icona della birra della nostalgia narrata dal tarantino espatriato.

Mariangela Martellotta

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