La pasta e fagioli è una pietanza diffusa e radicata nella tradizione culinaria di molte regioni italiane. Si contano molteplici versioni, dalla Sicilia con la pasta ca’ fasola catanese, al Veneto con la “pasta e fasoi”, passando per l’Emilia Romagna con i suoi pisarei e fasò piacentini, o per la Campania con i “minuzzaglia ammescata cu’ ‘e fasule” napoletani.
Queste sono solo alcune varianti della pietanza in cui ogni variazione racconta la diversità della propria cucina, della propria terra: si può arricchirla con il guanciale o fare a meno di aggiungere pomodoro, si profuma con foglie di alloro o si insaporisce con il rosmarino.
Ricetta della pasta e fasoi
Ingredienti
Procedimento
Mettere in ammollo i fagioli di Lamon secchi la sera prima in abbondante acqua fredda. In una pentola capiente, lasciare sciogliere il lardo di maiale tagliato a dadini e aggiungere un filo d’olio per soffriggere cipolla, carota e sedano tritati finemente. Aggiungere poi i fagioli e coprirli con abbondante acqua, unire gli spicchi d’aglio interi insieme alle patate, precedentemente sbucciate e tagliate a cubetti, e all’osso del prosciutto crudo con la cotenna.
Legare insieme con la corda da cucina le foglie di alloro e i rametti di rosmarino e salvia, lasciare cuocere insieme ai legumi e toglierli a cottura ultimata. La corda faciliterà l’operazione, in modo che le foglie non si disperdano nella pietanza. La cottura sarà terminata quando il fagiolo risulterà morbido.
A questo punto togliere due mestoli di fagioli e metterli da parte, estrarre le erbe aromatiche e passare i rimanenti fagioli con il mixer. Ottenuto il passato – qualora risultasse troppo denso, aggiungere un bicchiere d’acqua – portarlo a bollore, quindi aggiungere le tagliatelle spezzettate o ditalini. Appena cotta la pasta, unire i fagioli accantonati e condire con un filo d’olio.
Consigli
Per insaporire maggiormente aggiungere a cottura ultimata un po’ di pepe e una spolverata di grana grattugiato. La “pasta e fasoi” è ancora più buona il giorno dopo. Meglio utilizzare il pepe a fine cottura, o a temperature controllate, perché se esposto a temperature superiori ai 140 gradi, altera le sue proprietà chimiche, perde la sua aromaticità e tende a sviluppare note amare e pungenti.
Marinella Fagaraz, Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina Mediterranea