Il Caffè la Crepa: l’isola di gusto…sull’Isola Dovarese

La tradizione di ieri con l’innovazione di oggi. Questa la filosofia del Caffè la Crepa di Isola Dovarese, che si conferma il baluardo del sapere enogastronomico di un territorio di confine, crocevia tra la provincia di Mantova e Cremona. Una terra umida e fertile, dalla quale la famiglia Malinverno sembra trarre quell’ardore che si legge negli sguardi di coloro i quali, da generazioni, si impegnano per preservare dall’oblio la storia delle proprie origini e del terroir.

Nato con il nome “Locanda del Ciclista”, il ristorante mostra oggi un’indole in continua evoluzione che, tra le mura del Palazzo della Guardia (XV secolo), pare aver trovato piena espressione in quel dosato connubio tra passato, presente e futuro. Il passato rivive negli ambienti della saletta de “Il Senato”, testimonianza dei tempi trascorsi e amato ritrovo di illustri personaggi – Francesco Pistoja (senatore del Regno di Italia nel 1923), Ciro Chistoni (scienziato locale, le cui lettere compaiono nei riquadri della saletta) e Libero Accini (giornalista e scrittore) – che qui trovavano rifugio dalla quotidianità, alla ricerca di un’oasi di pace e ristoro.

Il presente è ben visibile nell’accurata ristrutturazione del locale, rispettosa delle antiche radici di questo luogo e attenta alla cura dei particolari. Ed infine, il futuro traspare chiaramente dalla personalità dinamica e dalla passione di Federico, figlio di Franco Malinverno, capace di narrare, sia all’avventore sia agli “affezionati” clienti, la cultura del luogo, trasmettendone il valore.

Caffe la Crepa verandaok

La sala interna

E così, tra decori Art Nouveau, arredi coevi e una enoteca che rievoca la storia del Palazzo e della famiglia, viene quasi naturale rivolgere qualche domanda alle generazioni oggi alla guida del ristorante.

Federico, cosa intendi per territorio?

Per me significa rispetto e valorizzazione dello stile di un luogo, di una ricetta che va gustata in un ambiente in grado di preservarne la storia e di esserne la piena manifestazione. Per tale motivo, in ogni ricetta utilizziamo prodotti locali e legati all’andamento stagionale.

Come interpretate l’innovazione?

La nostra cucina punta ad offrire le ricette della nonna Elda come lei stessa le avrebbe preparate, utilizzando gli strumenti oggi disponibili. Ciò implica, dunque, l’impiego di tecniche innovative (all’epoca sconosciute) che valorizzino la materia prima. Ad esempio, il classico piatto della tradizione, il Bollito, viene riproposto mediante una cottura sottovuoto.

Come contestualizzi la contaminazione in quest’anima “tradizionale” del ristorante?

La contaminazione è presente in minima parte con prodotti e non con ricette; ad esempio, nella nostra carta, si trovano il foie-gras o il patanegra, in quanto retaggio della nostra attività di enoteca e bottega.  Abbiamo iniziato la ristorazione proprio in occasione del Capodanno, in quanto era opportuno consumare talune ricercatezze del nostro negozio (caviale, salmone, prosciutti ecc.), accompagnate da una buona bottiglia di vino. Oggi, invece, pur preparando personalmente il foie-gras, continuiamo ad inserire nel menu prodotti “di contaminazione”, perché narrano e ricordano il nostro passato.

Che tipo di clientela abbracciate?

In gran parte regionale, grazie alla nostra posizione strategica. In prevalenza, i nostri clienti sono italiani e, nel tempo, i loro suggerimenti sono stati fondamentali per continuare il nostro percorso di crescita.

Riconosci nella tua famiglia l’immagine dell’oste-custode?

I clienti si affidano alla nostra capacità di selezionare i prodotti locali e alla nostra conoscenza del territorio; spesso si rivolgono a noi per avere qualche consiglio su location e strutture ricettive che offrano una esperienza autentica e, benché di livello, lontana dagli stereotipi delle catene alberghiere di stile internazionale. Cerchiamo di offrire al visitatore un qualcosa di unico e inimitabile.

Siete riusciti a creare un sistema o una collaborazione con altri operatori del posto?

Molti giovani sono tornati in questa provincia, perché desiderosi di recuperare attività di famiglia e tradizioni che, altrimenti, si perderebbero. Ad esempio, abbiamo proposto, per un periodo, uno spaghetto al pomodoro e salsa di mozzarella, realizzato impiegando solo prodotti di filiera cortissima.

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Tortelli amari all’erba San Pietro

Come siete riusciti a trasmettere la vostra immagine di “punto di riferimento” della cultura locale latu sensu?

Mio padre e mio zio hanno un’indole vulcanica. Aprirono, con spirito provocatorio, una gelateria artigianale nel lontano 1976, quando si pensava che il futuro di quest’arte fosse la completa industrializzazione. Mancavano esperienze simili cui potersi ispirare, almeno nella provincia, ma la grande sfida era quella di dare alle persone un motivo ulteriore per recarsi qui e scoprire la differenza rispetto ad un’offerta massificata. Mio padre è la parte estrosa del locale, mentre mio zio, più riflessivo, si è dedicato allo studio e all’approfondimento della valenza storica e culturale di questo territorio, fondamentale per comprenderlo appieno e sfruttarne le potenzialità.

Come immagini questa attività nel futuro?

Grazie alla mia famiglia, ho le energie per dedicarmi ad un progetto di sviluppo territoriale cui tengo in maniera particolare. Il mio obiettivo è che le persone tornino nella provincia, non solo per mangiare presso il mio ristorante, ma per fare del Caffè la Crepa la prima tappa di un viaggio alla scoperta della bellezze paesaggistiche, culturali ed enogastronomiche di questo areale. Concepisco il locale come il nodo di un network di operatori lungimiranti.

Nei prossimi 3 o 5 anni, come credi si possa trasformare il Caffè la Crepa?

In realtà, punto a salvare l’identità del ristorante per continuare a raccontarla al pubblico. Vorrei migliorare autonomamente, con il contributo della mia famiglia e di altri conoscenti o amici.

Caratterialmente parlando, ti senti più simile a tuo padre o a tuo zio?

Una via di mezzo…posso concepire tante idee (ed essere quindi creativo come mio padre), ma procedo con cautela prima di realizzarle (come mio zio).

Caffe la Crepa anguilla carpione

Anguilla in carpione

Infine, abbiamo rivolto qualche domanda al cuoco, Franco Malinverno.

Franco, quali passi ritieni di compiere nei prossimi anni?

Per me è fondamentale continuare un’azione di riscoperta delle antiche ricette, per contestualizzarle nella realtà attuale e trasmetterle ai più piccoli. Nella mia esperienza, mi sono reso conto che le persone raramente si immedesimano in un terroir e raramente comprendono fino in fondo una cultura. Credo sia prioritario narrare la storia di un territorio per comunicarne le peculiarità, i valori e le motivazioni alla base di uno stile di vita.

Come è riuscito a diventare un punto di riferimento per i suoi ospiti?

Quando ero bambino, ad Isola Dovarese esistevano molte trattorie e tutte riuscivano ad assicurarsi una propria clientela, con un’offerta pressoché simile. Negli anni Ottanta, invece, fu proprio l’omologazione della proposta a segnare il declino di molti di questi locali; fu allora che compresi la necessità di narrare il mio territorio, sempre (e non solamente a tavola). Slowfood, con la sua attenzione al modello delle osterie, ha comunicato l’importanza di riscoprire un nuovo stile dello “stare a tavola”, del conoscere un luogo attraverso le tradizioni enogastronomiche.

Dunque è un problema di scarsa conoscenza?

Spesso le persone non approfondiscono la cultura del buon bere e del buon mangiare; non si tratta semplicemente di cedere alle lusinghe del palato, ma di comprendere appieno le origini di una tradizione. Essa fa parte del modo di essere di un popolo, di un luogo. Ad esempio, sono riuscito a riscoprire ben 100 ricette dell’antica cucina di Isola Dovarese e a farle conoscere al “grande pubblico”. Purtroppo, esiste una contraddizione: tutti ammettiamo l’importanza del mangiare sano, ma contestualmente copiamo i modelli stranieri dello junk food.

E come risponde la clientela più giovane alla sua proposta?

In parte risponde, ma credo che ci sia ancora molto da costruire; la ricchezza della nostra nazione sta nel radicamento di usi e costumi che, declinandosi nella cucina, vale ad affermare l’identità di ogni singola regione.

Crogiuolo di cultura e tradizioni, fucina di idee e futuri progetti, testimonianza di antichi usi e costumi…difficile trovare un aggettivo che possa sintetizzare l’anima poliedrica del Caffè la Crepa. Un posto in cui la tavola diventa un viaggio tra le bellezze della provincia, tra le epoche trascorse ed il presente, tra il raffinato gusto delle ricette e l’emozione di sentirsi – stranamente – un nativo di queste terre.

Photo credits

Manuela Mancino

Il Caffè la Crepa: l’isola di gusto…sull’Isola Dovarese

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